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Este medioevale

Da Gaetano Nuvolato, Libreria Editrice Zielo, Este 1851

PERIODO QUARTO

1405 - 1850

CAPO I

DEL RAMO CADETTO DELLA CASA ESTENSE FINO ALLA SUA ESTINZIONE IN BERTOLDO D’ESTE NEL 1463

Ci è pur grato ritornare ancora una volta a parlare in questa storia della illustre casa dei Principi Estensi, abbenchè il primogenito suo ramo si fosse già stabilito a Ferrara dopo aver dominato nella nostra Este più che due secoli. Sia questo un felice innesto al presente Periodo, il quale deve essere il più scarso di storici avvenimenti per la patria atestina.
Ricordiamoci (pag. 403) di quel Marchese di Este Francesco, figlio di Obizzo II, il quale proditoriamente ucciso a Ferrara (1312) dai soldati Catalani, non poté trasmettere ai suoi eredi il principato, che passava per sempre nei figli dell’altro suo fratello Aldobrandino .
Azzo IX adunque e Bertoldo, figli rimasti dello sfortunato Francesco, comechè possessori di molti loro beni allodiali nel territorio atestino, scaduti dalla signoria, a cui furon appellati, siccome vedemmo i figli di Aldobrandino (pag. 404), rivolsero i loro sguardi ad Este, culla della possanza de’ loro antenati. Quivi recarono il loro soggiorno godendo della protezione del padovano governo, abbandonandone però ogni politico reggimento .
Que’ due Marchesi presero ad abitare non più nel loro antico palazzo dappresso al castello già divenuto proprietà della repubblica di Padova, ma un nuovo situato in contrada detta delle Grazie davvicino alla chiesa, cui o acquistarono allora od ebbero nel retaggio di famiglia. Traccia sicurissima ne troviamo anche in oggi in molte arme dell’estense famiglia frammezzate alle travature di quei locali, che furon poi cangiati in monastero. È dessa l’aquila bianca ad ali raccolte in campo azzurro. Anche questa memoria monumentale a caso da pochi scoperta, deve esserci cara mentre dobbiamo desiderare che, meno al bujo si possa, cammini la mia narrazione nel riandare queste gloriose nostre antichità . Ed ecco perché non deve essere intralasciato da questa storia quanto riguarda questo ramo cadetto de’ Marchesi Estensi, ch’ebbe stanza fra noi, benché poi troppo presto si estin-guesse.
Decesso immaturamente Azzo IX senza figli (1317) e più tardi Bertoldo (1343), rimase un unico figlio di nome Francesco, del quale doveva suonare chiara la fama in avvenire, come di uomo valoroso ed anelante a riprender il suo posto nel principato di famiglia. La fortuna pare offrirsegli propizia dopo la morte del suo cugino Obizzo signore di Ferrara e di Modena (1352) il quale non lasciava che figli di contestata legittimità. Francesco allora si accinse a far valere coll’armi i suoi diritti alla signoria di Ferrara e di Modena. Ritiravasi a Venezia, e si rendeva suoi protettori i Malatesta da Rimini, i Gonzaga da Mantova, e i carraresi da Padova. Ma assai debolmente assecondato, dopo uno scontro male arrivatogli nel ferrarese col suo rivale, e male pur riuscito presso la lega de’ principi italiani che si concludeva a Legnago (1353), cedé il campo e s’avviò a Milano presso Luchino Visconti suo suocero la cui figlia Catterina aveva egli impalmata. Colla mediazione di Carlo IV Imperatore, gli venne restituito tutto quanto gli era stato confiscato; ed egli veniva ad abitare nella prediletta sua Este.
Ma quell’anima guerresca stanca dell’ozio ripigliava pochi anni appresso (1359) il mestiere dell’armi, arte che restò partaggio nella sua famiglia sino all’ultimo suo discen-dente. Entrò allora ai servigi del Visconti, e compieva imprese e fatti che a me non tocca di raccontare. Basti per noi il sapere che fatta la pace (1375) rimase ancora in Milano, dove compiva sua giornata nel 1385, lasciando erede di tutti i suoi beni il figlio Azzo X, e a tutta Italia la memoria legando del suo grande coraggio e fierezza nell’armi.
Azzo già maturo d’anni e di senno, comechè nato fosse nel 1344, lo si trova nel 1393 tener dimora in Toscana, ove udita gli venne la morte dello Estense Alberto Signore di Ferrara (30 Luglio), il quale non altrimenti che il suo padre Obizzo lasciava un figlio non legittimo, che fu Nicolò. Ma Azzo credé giunta la sua ora per aspirare al principato. Dopo varie vicende di guerra combattute sull’agro ferrarese, rimase il nostro Marchese vinto e prigione dell’avventuriero Corrado Conte di Altemberg, il quale per non perderlo nella vita, lo consegnava ad Astorgio Manfredi di Faenza (1395). Trattandosi di un Principe che potea tornar utile il salvare, il veneto governo si presentò mediatore, sel fece consegnare dal faentino Signore, e lo mandò in Candia, ove rimase oscuro sino al 1405. Fu in quell’anno richiamato per prestar il suo braccio alla repubblica contro il Signore di Ferrara, amico allora de’ Carraresi di Padova, ma deposte ch’ebbe Nicolò Estense le armi e caduti i Carraresi, i Veneziani reputarono di allontanare di nuovo a Candia il misero Azzo. Conchiusa più tardi (1407) la pace tra il Doge e il ferrarese Signore, fu richiamato l’esule Marchese, e fu con esso convenuto che oltre la sua libertà, riprender dovesse e godere de’ suoi feudi, possessioni, livelli ed altre rendite che teneva ne’ territori di Este e di Monta-gnana. Venne pur lasciato libero di fissare il suo soggiorno in Este, dove si ritraeva spossato da tanti colpi dell’avversa fortuna, e quivi poco tempo innanzi lasciava la vita (1415. 7 Settembre). Venne sepolto nella chiesa di S. Francesco de’ PP. Minori Conven-tuali , nella quale furon poi sepolti gli altri Marchesi di sua famiglia.
Due figli rimaser di Azzo, Taddeo e Francesco . Taddeo redava dal padre la vigoria nello adoperare le armi da farsene uno de’ guerrieri più famigerati de’ suoi giorni. È certis-simo che nella sua gioventù dimorava in Este, e ne abbiamo bel documento che onora pure la nostra Comunità, la quale grande affetto dimostrava a’ suoi Marchesi i quali tanto l’avevano illustrata ne’ secoli precedenti.
Taddeo, correndo l’anno 1417, veniva invitato dal reggimento di Padova come suddito di questa a dare una speciale contribuzione di 100 lancie e 100 pedoni. Il Comune estense insorse tosto per opporsi ad una tale misura, e spedì a Venezia due suoi consiglieri Bartolomeo di Mario e Francesco Tornio, i quali a quella Signoria rappresentassero che il Marchese Taddeo era non altro che di patria estense, e che mercè il Privilegio concesso all’atto della spontanea dedizione del popolo atestino alla Repubblica (pag. 430), il Marchese stesso dovea in ogni caso far parte del Comune estense e non altrimenti del padovano. Il Doge Mocenigo ordinava al Rettore di Padova di cessare dalla ingiusta pretesa. Ciò tutto ci è palese da una Ducale, che ci ammaestra in pari tempo chiamarsi a quest’epoca estensi i Marchesi e partecipare al comunale nostro Consiglio, dove a chiare note sta ivi espresso che < Taddeo Marchese è cittadino estense, dalla qual terra hanno avuto lor culla tutti i progenitori suoi .
Allevato fra noi, si affezionava Taddeo alla illustre repubblica, la quale ben presto pensò di adoprarlo nelle arti di guerra. Primo saggio ne diede il Marchese militando contro Sigismondo Re d’Ungheria (1418). Perdurando quella guerra, che lunga fu e sanguinosa, veniva Taddeo innalzato al supremo comando delle forze armate, e frattanto conduceva a buon termine le fazioni armate nell’Istria (1421). In quest’anno lo troviamo ancora presente in Este nell’occasione che quivi si recarono alcuni deputati della Signoria a giudicare de’ danni e calamità recate dalle acque, che aveano coperte buona parte del territorio atestino.
I Veneziani ammirati del suo valore, impiegarono ben presto Taddeo nella guerra contro Filippo Maria Visconti Signore di Milano, e nel 1426 troviamo il Marchese comandare un corpo dell’esercito capitanato dal celebre Carmagnola.
Poco appresso (1430) fu chiamato da Martino V Papa, acciocché colle sue masnade composte in parte anche di gente atestina, servisse alla chiesa per assoggettare Bologna tenuta allora dai Canedoli. Trovandosi il Marchese alla battaglia combattuta tra Imola e Castelbolognese (28 Agosto 1434) ebbe solo la fortuna di fuggire, mentre gli altri condot-tieri suoi compagni eran tutti caduti nelle mani nemiche. Sempre in mezzo alle armi, Taddeo dopo la morte del Duca di Milano fu spedito a presidiare Piacenza datasi a’ Veneziani, cui però dovette abbandonare a Francesco Sforza, che la prese d’assalto, e lui stesso faceva prigioniero. Reso tosto alla libertà, ripassava al campo dei veneti a Giaradadda, e posto a difendere Mozzanica, colà moriva, correndo fama che venisse avvelenato (21 Giugno 1448).
È assai prezioso per noi Estensi il testamento di Taddeo che ci è rimasto, da lui scritto nel 1443. Lascia con esso di essere sepolto nella cappella di famiglia in S. Francesco d’Este, nella quale teneva la sua arca alla parte opposta a quella di Azzo suo padre - Obbligo impone al Comune di Este di mantenere un lettore pei reverendi Padri France-scani di quel Monastero - Ordina poi la fabbrica di una Chiesa intitolata alla Vergine, sulla forma di quella delle Carceri con unito convento di 12 frati della regola di S. Domenico - La sua moglie Margherita de’ Pii signori di Carpi, sia tutrice del suo unico figlio Bertoldo, erede universale de’ suoi averi - Sia finalmente, in segno della sua affezione alla patria, esecutrice della sua volontà la Comunità atestina .
Bertoldo, che dovea esser l’ultimo di questo ramo de’ Marchesi, teneva anch’esso sua dimora in Este, ma dopo la morte del padre si dava tutto al mestiere dell’armi in servizio della veneta repubblica. Sotto i vessilli dell’adriaca donna combatté valorosamente contro i Milanesi e il loro celebre condottiero Francesco Sforza (1450). Conchiusa la pace (1454), si ritirava di nuovo Bertoldo in Este, ove nello stesso anno (11 Febbrajo) Borso Estense primo Duca di Ferrara, con speciale atto gli faceva conferma di tutte le donazioni di beni già fatte al suo avo Azzo X (pag. 480) coll’obbligo dell’annua presentazione di uno sparviero. I quali beni ci sono anche indicati così: la metà delle valli di Peverella, Campolongo, Corso della Degagna, Arsura Lunga, Campecchio bianco ed altre terre nelle parti del territorio di Este, Vescovana, Megliadino e Vighizzolo .
Bertoldo si trovò a Venezia, allorché il medesimo Duca Borso andò a visitare quella metropoli. Ivi celebrossi in quell’occasione solenne torneo, nel quale il nostro Marchese ebbe la palma di vincitore. Ma la più celebre impresa di Bertoldo (fatalissima per questa patria) si fu allorché venne creato dalla veneta Signoria a capitan generale della armata di terra contro i Turcheschi condotti da Maometto II, che sempre più minacciosi s’avanza-vano nelle parti della Grecia. Abbandonava allora Bertoldo il suolo estense, che non dovea più rivedere. Passato nella Morea, quivi s’impadroniva di Anzo e di altre terre, e in fine componeva l’assedio a Corinto, facendo eseguire opera degna de’ più famosi capitani. Colle braccia di 30.000 guastatori nel solo spazio di 15 giorni fe’innalzare un muro protetto da una fossa d’ambo le parti serrando così tutto lo stretto, affinché ai Turchi non restasse pertugio a penetrare nella penisola. Ma nel punto che il prode marchese si era levata dal capo la celata per ristorarsi dal soffocante calore del cielo, un sasso partito dalle mani de’ nemici dritto gli percuote la tempia lasciandolo semivivo. Rilevato poté vivere ancora per alcuni giorni, ma alla fine dovè soccombere, compianto da tutta l’armata, la quale scoraggiata da tanta perdita vide andare al peggio quell’impresa.
Benché la mortale spoglia del Marchese rimanesse su greco suolo, Borso Duca di Ferrara, deposti gli antichi odii di famiglia, volle che il Bertoldo e suo padre Taddeo restasse perpetua ed onoranda memoria nella terra a loro natale di Este. Quivi nella chiesa di S. Francesco ordinò fosse eretto un condegno monumento. Portava esso due statue in pietra raffiguranti i due Marchesi Taddeo e Bertoldo, ultimi del ramo cadetto degli Estensi, con sottopostavi iscrizione estesa in bello stile del Lazio e che noi qui daremo poeticamente tradotta da valente penna di un nostro concittadino :
<< Taddeo qui giace , e qui Bertoldo il figlio
<< Cônti nell’armi e nella guerra entrambi,
<< E di que’ tempi alto sostegno e onore
<< Del Veneto domìno. Il sangue estense.
<< D’ambi irrigò le generose vene.
<< Taddeo fu schermo a Brescia, e poi che largo
<< D’eccelse lodi ebbe tributo, i lumi
<< Là ‘ve un tempo i Cenomani regnaro
<< Chiuse di morte a inevitabil sonno.
<< Bertoldo il suol che da Corinto ha il nome
<< Sgombrò dai Turchi, ed onorato cadde
<< Sotto le mura. Tua pietade grande,
<< Inclito Borso!, il cenere raccolto
<< D’ambi rinchiuse in un medesimo avello.
Fu veramente patria sciagurata, che dopo tre secoli (1797) la mal consigliata ira repub-blicana gettasse in pezzi quel monumento, il quale non era per questa città che una gloriosa commemorazione. Chi visita in oggi questa città, invano ricerca una pubblica memoria di quella celebre prosapia estense che per quattro secoli ebbe qui stanza, e veruna rimembranza di terrore e di sangue vi avea tramandato da potersi in alcuna guisa scusare la commessa barbarie . Passano i secoli, ma non per la storia, che fatta rediviva e più bella, si fa giusta estimatrice degli uomini e delle cose. Nobile ammenda or io proporrei a’ miei concittadini. Sia locato in sito distinto della nostra città una marmorea affigie di alcuno fra’ più celebrati nostri Marchesi, che sia perenne memoria delle avite glorie di questa patria e ai cittadini e a quelli che visitano questa amena contrada, come non ne mancano esempi in altre città italiane. Son belle pure le nuove vie, son belle le altre comodità procurate al cittadino, ma perché si lascieranno obliate le patrie glorie ed i monumenti custoditori di quelle fino all’ultima posterità? Sia questo un patrio desiderio ch’io presento all’estense cittadinanza.


CAPO II

DELLE COSE MEMORABILI AVVENUTE IN ESTE NEL SECOLO XV

1405 - 1508

È propria natura di quasi tutte le storie municipali italiche di andarsi abbreviando.Col trapassare che fanno dall’antica alla moderna età. Ed infatto, allargatisi gli Stati e gl’Imperi sulle rovine delle comunali libertà, le città caddero a poco a poco nel generale sistema di politica amministrazione di quello stato, al quale vennero unite o colla forza dell’armi o colla spontanea loro dedizione.Nulla meno nella vita di un Comune, benché faccia adesso parte di un governo più o meno esteso, vi puoi però sempre riscontrare alcune, dirò così, storiche pulsazioni, che ne offrono come una speciale fisonomia, da potersene meritamente occupare chi fa il racconto di una storia municipale. Io di queste pulsazioni andrò qui brevemente intrattenendo il mio benigno lettore, affine di dar termine al quadro che impresi a delineare, riservando poi alla Seconda Parte di occuparmene in certi oggetti più strettamente municipali, siccome mi proposi nella Introduzione al presente lavoro.
Prima e costante cura io trovo essere stata nel nostro Comune di Este, dacché spontaneamente si era posto in balia al veneto Leone, di mantenere intatta e invariabile, per quanto lo si potesse, l’accordatagli carta di privilegio, che fu premio alla sua volontaria dedizione (pag. 430). Vennero spesso intaccati, come vedremo, i nostri diritti dal Reggimento di Padova; donde gravi e ripetute querele ne furon mosse da’ nostri al veneto Senato, il quale però il più delle volte fece piena giustizia contro le reclamate invasioni.
A sviluppo della pubblica economia troviamo in quest’ epoca una disposizione che onora la previdenza di questa Comunità. Estenuata la estense popolazione da tante vicende ed assalti che l’aveano stremata nel trapassato secolo, opportunamente si diede a promuovere un qualche aumento, coll’accordare a forestieri per tenuissimo canone il terreno per fabbricarvi, specialmente di contro al nostro castello sul ciglio del fiume e in Borgo nuovo. Adescaronsi dell’offerta anche alcuni Ebrei di Padova, i quali eresser quivi un banco a benefizio della cittadinanza .
Una novità frattanto avveniva pegli estensi nel 1410, allorché infieriva la guerra tra i Veneziani e Sigismondo re d’Ungheria. I Padovani offersero di spedirvi a tutte loro spese 100 lancie e 100 fanti. Anche il Comune atestino ne contribuiva la sua parte in ragione della sua entrata estimale e così non dismetteano gli Estensi la carriera dell’armi. Una tale imposizione, come accade, divenne poi perpetua, ed era sostenuta dalla città, dal clero e dal territorio.
Ben presto (1413) cominciarono le infrazioni alla nostra carta per parte del Comune di Padova. Voleva desso qui mandare de’ suoi per esigere le gabelle; ma nol soffrivano gli Estensi, ché fatte le dovute rappresentanze al Senato, ne riportarono una Ducale del 18 Maggio indirizzata al Rettore di Padova, colla quale ordinavasi non doversi aggravare con insoliti pesi gli abitatori di Este; il qual ordine troviamo pur rinnovato nell’angolo seguente.
Non cessando la guerra ungarica, i Veneziani difettavano assai di denaro, per lo che si rivolsero alla terra ferma per averne a prestito (1414) dichiarandosi che passato il pericolo, risorgerebbero i privilegi; ma anche questa imposizione in denaro andò perpetuandosi a carico di tutto il territorio patavino compreso l’estense; e si fu allora che venne rinnovato l’estimo delle città e creato quello del territorio, che sembra abbia da qui propriamente avuto suo principio.
Ci è assolutamente impossibile conservar qui una qualche ragione di continuata istoria, mentre ci è forza a tratti e sbalzi discorrere sulle vicende di questa patria, la cui condizione non permettavale che di seguire gl’impulsi della dominante repubblica.
All’anno 1416 ci capita all’occhio un fatto, che dà a vedere non affatto sicuro trovarsi il veneto governo delle recenti sue conquiste, alle quali (e ad Este pure) teneano l’occhio altri principati. Si misero in tutt’ordine le fortezze guardanti al nostro castello, e questo pure venne più fortemente presidiato. Rubino da Lico stava qual capitano a guardia della Torre di S. Pietro, Nicolò Rossello del castello di Vighizzolo, e altri due capitani teneano in vista il forte di Migliaro e quello più grande di Valbona.
Convien dire che seguitassero gli attacchi alla nostra carta del 1405, se, troppo presto in vero quasi fosse dimenticata, ne troviamo una solenne conferma all’anno 1425 promulgata dal Doge Pasqual Cicogna, che venne unita al nostro Statuto . Non sarà però questa l’ultima volta che, attese le avvenute infrazioni, ci venisse riconfermata quella Carta.
Ed appunto a tranquillare le Comunità di Terra ferma sul fatto dei concessi Privilegi all’epoca della loro dedizione, veniva sancito solennemente nel Consiglio dei Dieci (27 Giugno 1434) che tutti gli ordini che per avventura si fossero dati dai Rettori delle città in opposizione alle concessioni, patti e privilegi già loro consentiti per lo innanzi, fossero e si ritenessero sul punto rivocati, comminando la pena ai contravventori di ducati mille, bando dal Maggior Consiglio e inabilità per un quinquennio ad ogni pubblico offizio .
Si può credere che per molto tempo appresso il nostro privilegio sarà rimasto immune da qualunque attacco per parte del Reggimento e Comunità di Padova. Il mantenere intatti, come in gran parte lo furono, sino alla sua caduta (1797) gli accordati privilegi, sicuro mezzo era tenuto da quell’avveduto governo a tenersi cattivati i paesi di nuova conquista, i quali vivendo così divisi di leggi e d’interessi, servivano forse di troppo agli scopi conservatori di quella famosa Repubblica.
<< Essa, dice il nostro Leoni, contenta a poco tributo, giunse con profonda politica al <<difficile ottenimento di porre i popoli in facilità di soddisfare ai propri doveri, e abbenchè <<misteriosa nelle interne azioni, vantò leggi, in cui il confine dei poteri era con chiarissima <<precisione marcato >> .
Nulla più io trovo di abbastanza rimarchevole che sia accaduto in queste contrade nel decimo quinto secolo.


CAPO III

ESTE PER L’ULTIMA VOLTA È POSSEDUTA DAGLI ANTICHI SUOI MARCHESI E DUCHI DI FERRARA E DI MODENA

1509 - 1514

Quasi lume sullo spegnersi qui si ravviva alquanto la mia storia. Risorgono ancora una fiata gli aviti diritti della Casa che tuttora si nomava da Este, la quale non aveva giammai, siccome vedemmo, in modo solenne rinunciato a questa contrada, che fu sua culla e prima gloria. E l’occasione ne venne, allorché si contrasse quella celebre lega detta di Cambrai tra Francia, Spagna, Austria e il Papato, alla quale aderì pure con tutte le sue forze anche Alfonso Estense Duca di Ferrara, al precipuo fine di ricuperarsi l’antico suo feudo atestino e abbassare quella repubblica finitima a’ suoi stati, la quale co’ suoi acquisti in Terra ferma minacciava di elevarsi superiore ad ogni altra potenza in Europa (1508).
I collegati aveano già recato tutto il peso delle loro armi sulle terre veneziane. Este, Montagnana e Monselice erano state bene presidiate all’appressarsi di tant’oste condotta dallo stesso Imperatore Massimiliano. Ottenuta ch’ebbero gl’imperiali una vittoria presso alla Policella, occupavano con Rovigo tutto quanto il Polesine, e dirigendosi a Montagnana ne accettavano la resa; quindi fattisi innanzi sotto Este e Monselice, le due fortezze aprirono tosto le porte ai troppi numerosi vincitori.
Entrato allora Alfonso in Este, ne prese possesso, e fu il primo ad acquistare il premio del meditato riparto della Terra ferma veneziana. Trovandosi come in casa sua propria fece atterrare tutte le insegne veneziane, e le ville e case de’ Veneziani ordinò fossero vendute all’incanto . Si fecero in egual tempo prigionieri i due podestà veneti di Este e Monselice con molti altri nobili, e traslocaronsi sotto buona scorta a Ferrara. Il Duca delegava tosto al governo di Este un tal Gerolamo Rovella, a Montagnana Agostino Villa, e a Monselice un Giovanni Beltramo (Luglio 1509). In tal guisa la Casa Estense, da più di un secolo che non vi poneva piede (pag. 424), ripigliava l’antico suo feudo, cui intendeva di riunire al proprio Ducato oltre Po, i due maggiori fiumi dell’Italia così abbracciando colle sue fortunate conquiste.
Ma poco durava quella troppo facil vittoria, ché il Leone dell’Adria non invano si mise a fortemente ruggire sulle prede perdute. Andrea Gritti valoroso condottiero delle genti venete dopo aver per sorpresa rioccupata Padova, rientrava in Monselice traditagli dal perfido Beltramo in accordo con un terrazzano detto Toso Dainese, i quali però, presi poco dopo dal ferrarese Signore, furono pubblicamente decapitati. Dovè tosto arrendersi anche Este alle armi venete, e vi fu spedito tosto a podestà Daniele Moro .
L’Estense Alfonso non perdeva però il coraggio, ma ritentava l’impresa. L’Imperatore volendo ad ogni costo ricovrare la sfuggitagli Padova, il fiume Bacchiglione che a Longare si biparte, rivoltò tutto di verso ad Este, affinché i Veneziani non potessero usare di quell’acqua in difesa della città. Quindi ebbe principio il celebre assedio di Padova. Nel frattempo, l’Imperatore e il Duca per non istare neghittosi, col valore dei fanti Spagnuoli ritoglievano Este e poco appresso Monselice, facendone alla lor volta prigionieri i due Podestà veneziani (Agosto). Sappiamo che il Duca Alfonso venne allora accolto dal popolo estense come in trionfo, il quale non poteva obbliare le speranze di suo ingrandimento sotto quella prosapia che allora rifulgeva sopra tutte in Italia.
Il Duca non perdendo un minuto di vista lo scopo suo in quella guerra, chiese tosto dall’Imperatore una nuova investitura dell’antico possedimento Estense; e gli fu quindi concesso << Este castello, dal quale la prosapia del Duca trasse suo antico nome, con <<tutto il suo distretto e territorio e coi beni del magnifico Marchese Bertoldo >>. Si eccettuarono soltanto i beni già divenuti proprietà dei veneti patrizj e di altri privati allora detti rubelli. Per altro l’Imperatore, assai vuoto, come è palese in ogni storia, di denaro, pretese una mercede della sua concessione di ben 40.000 ducati, che il Duca si obbligava in più fiate di esborsare. Con altro diploma otteneva il Principe Estense anche l’investitura di Montagnana .
Non era però per la nostra Ateste finito quel sanguinoso dramma, ché la fattane occupazione grave rammarico recava al veneto governo, il quale ormai anelava a trarne vendetta; e queste contrade doveano ancora molto soffrire dagli amici e nemici suoi. All’appressarsi del nuovo anno 1510, i veneziani aveano già con la forza dell’armi rioccupato Rovigo, e già erano rientrati in Este e Montagnana, che per la seconda volta dovetter perdere il loro Signore. Ci sono affatto ignote le peculiari circostanze e fatti che accompagnarono la ripresa delle terre estensi. A’ danni del Duca rimontarono il Po dieciotto galere venete, i cui armigeri faceano sbarchi qua e là mettendo a ferro e fuoco la campagna ferrarese. Ma Alfonso alla sua volta nel 4 Dicembre riportava una brillantissima vittoria, e passato il verno univa le sue genti agli alleati per riprendere le offese e ricuperarsi l’agro atestino. Presentandosi alla Badia, la prese di tosto facendo strage di quanti osarono fargli resistenza. A bell’agio allora poté rioccupare Lendinara e Rovigo ed altre castella del Polesine loro Signore, il quale poneva fine pur una volta a tante calamità. Ben presto Este e Montagnana, ritornavano nelle sue braccia, mentre Legnago l’accoglieva poco dopo per capitolazione. Impadronitosi finalmente Alfonso della rocca di Monselice con grande valore, egli teneva una volta ancora in sua mano l’antico paese atestino retaggio degli avi suoi. Ultima esistenza del marchesato Estense.
Il Pontefice Giulio II staccavasi d’improvviso dalla lega, e fattosi dalla parte de’ Veneziani mandava sue genti ad attaccare il Duca nel ferrarese. Mentre così questi stavasi obbligato alla difesa di Ferrara, la veneta armata rioccupava colla forza dell’armi Montagnana. Questa caduta, gli Estensi con Monselice e Rovigo si calarono agli accordi e ricevettero i veneti presidii.
A questo punto nuova serie di grassazioni e sventure cominciava per queste terre fatte segno all’ira degli invasori collegati, i quali non dismetteano da combattere le ripullulanti forze della repubblica. I Francesi condotti dal Trivulzio e dal Palice, guerreggiando in queste parti, appena seppero sguarnita Montagnana, la presero, e poco appresso occuparono Este, Cologna, Lonigo, e più tardi anche Monselice (23 Luglio).
Ma quella guerra si prolungava, e puossi ben immaginare quanto ne dovesser esser tormentate queste terre percorse continuamente da Tedeschi, Spagnoli e Francesi collegati ai danni della repubblica. Abbiamo notizie dagli storici di quell’epoca Guicciardini, Paruta, Bembo ed altri che intorno all’anno 1513 saccheggi e rovine erano arrecate ad este e suoi villaggi all’intorno, specialmente da Prospero Colonna condottiero delle genti papesche e spagnole. Le terre che maggiormente soffersero oltre la nostra città furono Ponso, Brescia, Piacenza, Granze e S. Elena.
Memorabil fatto successe in Este nell’anno 1514 per opra dell’Alviano capitan generale delle venete armate. Inteso che quegli ebbe essersi recata gran quantità di frumento dai nemici entro il castello di Este, alla cui guardia stavano 300 fanti e 100 cavalli degli Spagnuoli, mandò Antonio da Castello con buona mano di soldati a piedi ed a cavallo. Sopraggiunti questi sotto di Este fra l’oscuro della notte, accostarono le scale alle mura, e le superarono forzando ad arrendersi tutto quanto il presidio, il quale a null’altro stava intento che ad asportar parte del grano per dare il resto alle fiamme .
Danni gravissimi nelle atestine contrade continuarono ad arrecarsi anche durante le trattative di pace, male osservate dal Cadorna Vicerè di Napoli co’ suoi Spagnoli, i quali commisero saccheggi e immanità di ogni specie, specialmente in quella parte di territorio, come ce lo dice il Guicciardini, che si frappone tra Este e Montagnana .
Cessata quella lunga e luttuosa guerra, anche Este avrà respirato una volta da tante disavventure, mentre cadeva di nuovo nel politico ordinamento della veneta repubblica, la quale, ad onta della dimostrata propensione degli Estensi per ricuperare l’antica loro famiglia marchesana, lor conservava intatti ed immuni i concessi privilegi. Nuovo motivo di lode è questo certamente per quel governo.
Per quasi tre secoli, vale a dire fino alla caduta di Venezia (1797), rimase Este sotto la veneta signoria, conservando quella storica invariabilità, alla quale restaron soggette quasi tutte le città della Terra ferma formanti l’antica Marca Trivigiana.
Qui potrebbesi dire fornita la mia storia durante il periodo veneto. I susseguenti duecento e ottantatre anni, ne’ quali invariato durò fra noi il dominio veneziano, non prestano propriamente a dare materia ad una serie storica di fatti ed avvenimenti. Le città di Terra ferma, ritenuti alcuni privilegi (che però andavano debilitandosi) non ebbero più che una vita regolare se si vuole, ma traente alquanto alla immobilità. Le poche cose e cangiamenti che andarono succedendosi durante quel regime, rifletterono oggetti i più strettamente municipali, che io appunto, siccome ho fatto alla fine del terzo Periodo, ho pensato di riunire qui appresso sotto un solo punto di vista. Né credere vogliasi che quasi stanco del percorso cammino, io qui intenda di tagliare corto per arrivare al desiato fine. Si vedrà in effetto nel prossimo Capo, siccome il mio soggetto di sua natura ricerchi una simile trattazione.