CAPO V
ORIGINE
DELLA CASA D’ESTE
Qui la mia storia del secondo periodo povera fin ora e quasi al bujo
tentennante, al fine si può porre di contro al suo glorioso passato;
e alargare le sue vedute e in Italia e oltr’alpe. Anche Este in
questa ferrea etade ebbe il suo Comune, i suoi statuti, i suoi consoli;
si circondava di mura e di torri contro i prepotenti vicini, soffriva
assedii, riportava vittorie, riportava vittorie e sconfitte. Guerre
fur quelle pur troppo fraterne, ma desse copersero tutta Italia; e chi
vorrà ora tanto penetrare sua visita in quei secoli feroci, e
sentenziare del come e quando quelle risse si potessero evitare, o se
più o meno tolsero o aggiunsero alla gloria italiana?.
Come di molte famiglie, così di quella detta estense dalla nostra
città è affatto oscura l’origine. Non mancano però
scrittori, ch’io chiamerei cortigiani, i quali ne vollero tessere
una genealogia antichissima servendosi di mere leggende, e più
spesso anche del proprio inventando.
Il Pigna di patria ferrarese e che vivea in quella corte de’ Duchi
estensi fu il primo a pubblicare una completa narrazione dell’origine
della casa estense. Di primo tratto la fa oriunda dalla gente Azzia,
ossia da un decurione di quella famiglia dell’epoca romana, il
quale al tempo delle barbare invasioni fu creato dal popolo atestino
Principe di Este per sé e successori .
Ché anzi lo storico va più avanti, dandoci questi Azzi
siccome provenienti da Roma e discesi da que’ medesimi, tra’
quali Svetonio annovera Marco zio materno di Augusto, e che ebbero un
Azzio Neo, a cui Romolo fece erigere una statua .
Il Pigna dettava la sua opera quando ad ogni costo si voleva che tutte
le illustri famiglie italiane discendessero dalle cospicue genti romane.
Il risorgimento degli studi classici in quel secolo ajutava mirabilmente
tale tendenza degli scrittori.
Non volendo però noi trascurare le patrie tradizioni, cui dicemmo
lato poetico della storia, ne diremo qui alcuna cosa:
Irrompendo i barbari nel secolo V in Italia, si
radunava il Consiglio della città d’Ateste e fu tosto a
piene voci eletto a difendere il paese Cajo Azzio decurione, membro
di una famiglia già da antichissimo fiorente fra di noi. Ei combattè
con fortuna nel 403 contro i Vandali e i Goti, ma venuto Attila flagello
di Dio (456), Foresto nipote di Cajo Azzio si recò di contro
ai feroci Unni poco lungi da Este, ove dopo aver sostenuta una gloriosa
zuffa, stramazzatogli di sotto il cavallo, vi perdé la gloriosa
sua vita.
Acciarino suo figlio non degenere dal padre apparecchiavasi a trarre
memorabil vendetta e salvare la patria; ma Attila distrutta che ebbe
Aquileja non trovò più confini al suo furore, e si recò
tosto sotto le mura di Ateste, vi pose l’assedio, tolse l’acqua
alla città fino a che col ferro e col fuoco l’espugnò
e la distrusse. Così cadeano in pari tempo Monselice e Montagnana.
I discendenti di Foresto e di Acciarino seguitavano benché vaganti
qua e là fuor della patria ad adoperare il loro braccio pella
liberazione dell’Italia dai barbari, primo contro i Goti e poi
contro i Longobardi; finché stabilitisi quest’ultimi a
dominatori, e fondato ch’ebbero un regno possente, concessero
ad Aldrovando Principe discendente dagli Azzi estensi l’antica
patria in suo dominio.
Vinti però i Longobardi dai Franchi, Arrigo figlio di Ernesto
da Este e Signor di Trivigi fu da Carlo Magno nominato a suo vicario
in Italia ed eretta in suo favore in Contea la città atestina
col suo territorio.
Uberto da Este venne per poco spogliato della sua Signoria dagli Ungheri
invasori del secolo decimo, ma discacciati anche questi, gli fu reso
l’avito retaggio da Berengario re d’Italia.
Il Tasso che scrisse il suo immortale poema sotto gli auspicii della
Casa estense dedicandolo al Duca Alfonso, seguiva la comune tradizione,
che bene conveniva al suo lavoro. È mio vanto il qui riportare
i versi del grande Torquato, che la loro gloria imperitura riflettono
su questa mia patria.
Il Veglio mostra a Rinaldo scolpite nel celebre scudo le glorie de’
suoi antenati:
Con sottil magistero in campo angusto
Forme infinite espresse il fabbro dotto.
Del sangue d’Attio glorïoso augusto
L’ordin vi si vedea nulla interrotto.
Vedeasi dal roman fonte vetusto
I suoi rivi dedur puro e incorrotto.
Stan coronati i principi d’alloro,
Mostra il vecchio le guerre e i pregi loro.
Mostragli Cajo, allor che a strane genti
Va prima in preda il già inclinato impero,
Prendere il fren di popoli violenti,
E farsi d’Este il principe primiero;
Ed a lui ricoverarsi i men potenti
Vicini, a cui rettor facea mestiero.
Poscia quando ripassa il varco noto
Agli inviti di Onofrio il fero Goto;
E quando sembra che più avvampi e ferva
Di barbarico incendio Italia tutta;
E quando Roma prigioniera e serva
Sin dal suo fondo teme esser distrutta;
Mostra che Aurelio in libertà conserva
La gente sotto il suo scettro ridutta;
Mostragli poi Foresto che s’oppone
All’unno regnator dell’aquilone.
Ben si conosce al volto Attila il fello,
Che con occhi di drago par che guati,
Ed ha faccia di cane ed a vedello
Dirai che ringhi, e udir credi i latrati.
Poi vinto il fiero in singolar duello
Mirasi rifuggir tra gli altri armati;
E la difesa d’Aquilea poi torre
Il buon foresto dell’Italia Ettorre.
Altrove è la sua morte, e il suo destino
È destin della patria. Ecco l’erede
Del padre grande il gran figlio Acarino
Che all’italico onor campion succede.
Cedeva ai fati e non agli Unni Altino;
Poi riparava in più sicura sede:
Poi raccoglieva una città di mille
In val di Po case disperse in ville.
Contro al gran fiume che in diluvio ondeggia
Muniasi, e quindi la città sorgea
Che ne’ futuri secoli la reggia
De’ magnanimi estensi esser dovea.
Par che rompa gli alani, e che si veggia
Contro Odoacre aver poi sorte rea,
E morir per l’Italia. O nobile morte
Che dell’onor paterno il fa consorte!
Cader seco Alforisio, ire in esiglio
Azzo si vede, e il suo fratel con esso,
E ritornar con l’arme e col consiglio
Dappoi che fu il tiranno Erulo oppresso.
Trafitto di saetta il destro ciglio
Segue l’estense Epaminonda appresso,
E par lieto morir poscia che il crudo
Totila è vinto, e salvo il caro scudo.
Di Bonifacio parlo:e fanciulletto
Premea valerian l’orme del padre.
Già di destra viril, viril di petto
Cento nol sostenean gotiche squadre.
Non lunge ferocissimo in aspetto
Fea contro Schiavi Ernesto opre leggiadre,
Ma innanzi a lui l’intrepido Aldoardo
Di Monselce escludeva il re Lombardo.
Enrico v’era e berengario; e dove
Spiega il gran Carlo la sua augusta insegna,
Par ch’egli il primo feritor si trove
Ministro e capitan d’impresa degna.
Persegue Lodovico e quegli il move
Contro il nipote che in Italia regna,
Ecco in battaglia il vince e fa prigione;
Eravi poi co’ cinque figli Ottone.
V’era Almerico, e si vedea già fatto
Della città, donna del Po, Marchese…
Il nostro buon cronista Geronimo
che tanto si compiaceva delle memorie tradizionali e che scrisse ben
prima (1480) del Pigna, nulla ci narra di questa schiatta principesca
degli Azzi. Solamente egli ci racconta di un certo Jano re di Padova
assai prode guerriero al tempo di Attilia, il quale vestitosi da pellegrino
essendo entrato in città per ispiare il segreto del re, riconosciuto,
ebbe tronca la testa; e questa mostrata al suo esercito al di fuori,
fu collo spavento e colle armi posto in dirotta fuga.
Fin qui la poesia e la tradizione; ma ora andiamo a riconoscere l’origine
della casa estense, prendendo a nostra guida gli autentici documenti,
le più sincere cronache e infine i severi studii e le indagini
più accurate dei celebri scrittori.
Poche principesche famiglie possono menar vanto di avere avuto a suoi
illustratori due de’ più grandi ingegni, l’uno alemanno,
l’altro italiano, quali furono un Leibnitzio ed un Muratori.
Il primo, già consigliere dell’Elettore di Brunsvich che
fu poi re della gran Brettagna (Giorgio I) intraprese degli studi affine
di rintracciare l’origine della illustre schiatta del suo protettore.
A tal uopo venne in Italia (1690) e in occasione del matrimonio di Rinaldo
I estense Duca di Modena e Reggio con Carlotta figlia a Giovan Federico
di Brunsvich pubblicò una lettera, nella quale richiamava alla
memoria degli sposi l’antica connessione tra li casati brunsvicense
ed estense; vale a dire trar origine le due famiglie da uno stipite
comune, cioè da Azzo II che nel secolo XI fissò residenza,
siccome vedremo, nella città atestina dalla quale prese il nome
di Estense, ed ove fondava la grandezza di quella illustre prosapia.
In altra sua opera lo stesso celeberrimo filosofo e storico illustrava
la genealogia degli estensi. Finalmente nei suoi Annali della Germania,
interrotti dalla morte che il colse, si era proposto di trattare più
ampliamente della origine e della antichità della casa estense.
Ma il desiderio del grande Leibnitzio fu raccolto e posto in atto dal
celebre nostro Muratori, la cui opera detta delle Antichità estensi
arrecò somma luce alle origini di quella famiglia illustrandone
anche le gloriose imprese e non poco vantaggio arrecando alla storia
della quale ci occupiamo.
Sono concordi que’ sommi ricercatori che la casa estense abbia
avuto sua origine dalla gente longobardica, ed anzi più davvicino,
siccome appare, da gente bavarese. Paolo Diacono ci narra che il re
Alboino (586) condusse seco in Italia e Norici e Bavaresi, i quali qui
stabilitisi, furono o da esso Alboino o da’ suoi successori beneficiati
con terre ed uomini italiani.
Oltre a ciò tale origine più chiara apparisce, allorché
consultiamo i documenti attinenti ai principi estensi, nei quali, siccome
avremo più volte anche noi occasione di accer-tarsene, costantemente
si dichiarano professanti la legge longobardica.
Sembra però che quei principi prima che si stabilissero nella
regione veneta avessero beni e dimorassero nella Toscana. Fino dall’anno
812 si trova in Lucca, città capo allora della Toscana, un Conte
e Duca della marca Bonifazio, che una carta citata da Cosimo della Rena
cel dimostra per bavarese .
Ugo il Grande (961-1001) Marchese di Toscana e discendente da Bonifazio
avea posseduto dei beni territoriali nella Venezia. Dona egli (993)
in Pisa a Martino abate la chiesa di S. Maria nella diocesi di Adria
allo scopo di fondar ivi un monastero colla regola di S. Benedetto .
Anche altri beni, chiese, castelli teneva il Marchese Ugo nella Scodosia
ossia nel montagnanese e nel Polesine di Rovigo, i quali beni passarono
anch’essi nella casa estense, siccome vedremo.
Ma v’ha di più; Guldrada sorella di Guido Marchese di Toscana
recatasi in dote beni situati nel Polesine e nel Ferrarese, la quale,
posciaché il suo marito Candiano VI Doge di Venezia reo di affettata
tirannide venne immolato a morte (an. 976), ritirata che si fu in Toscana
fece formale vendita (997) al suo fratello di una casa con corte e castello
situati nel tenère della stessa Vangadizza.
La fortuna della famiglia marchesina di Toscana si espandeva con rapidità.
Nel 994 avea dessa il governo di Vicenza e sembra che appunto verso
il mille possa lo stesso Ugo il grande avere acquistati dei diritti
sopra Este, Monselice, Rovigo, ed altri beni posti nella Marca trivigiana.
Ma vieppiù spicca la connessione della antica casa estense con
quella dei marchesi di Toscana, laddove si osservi che i marchesi estensi
per loro parte mentre dimoravano fra noi, aveano pure diritti e beni
nella Toscana.
Azzo II estense era nel 1030 conte della Lunigiana, e possedeva Pontremoli
e Filaterra ed altre terre della Toscana, ove teneva anche vassalli
.
Moriva intanto (an. 1001) Ugo il Grande senza prole mascolina, ned è
palese a chi passassero i molti suoi beni allodiali ; né qual
legame di parentela tenesse con quell’Adalberto riconosciuto fin
qui come il vero capostipite dei marchesi estensi.
Non sarà qui fuor di luogo una supposizione assai probabile dopo
i premessi fatti. Adalberto dovè trarre i suoi natali o da un
fratello o da uno zio di quell’Ugo il Grande marchese di Toscana,
e ne redava i beni allodiali, o sì veramente una sorella di Ugo
era passata a nozze con quello, recando seco molti beni di spettanza
di sua famiglia.
Abbenché una tale congettura emani da quel mare d’eruzione
ch’era il Muratori, accettata anche dal nostro Alessi, pure l’autore
Delle famiglie italiane illustrate starebbe contro a tale opinione,
perché è noto che la famiglia di Toscana professava la
legge ripuaria, ed Adalberto capostipite degli estensi e suoi discendenti
seguivano, siccome dicemmo, la longobarda. Sarebbe quindi da trovarsi
la cagione perché Adalberto avesse cangiato legge .
In tanta distanza di tempi e in mezzo al tenebrìo che ricopre
la storia tutta di quell’epoca, ammiriamo pure la sagace pertinacia
del Muratori che dimostrata l’origine Longobarda della prosapia
estense, ne porta la genealogica ascendenza con piena sicurezza fino
a quel Adalberto che vivea intorno all’800 dell’èra
nostra; tanto antica certamente da non temere alcun confronto colle
altre più illustri genealogie italiane e straniere .
CAPO VI
DI ADALBERTO, OBERTO
I, OBERTO II, ALBERTO, AZZO I, E QUALE D’ESSI EBBE ESTE E MONSELICE
D’Adalberto null’altro
sappiamo se non che nel 1011 s’intitolava Marchese che fu padre
di Oberto I.
Tuttavia soggetto di controversia il nome della Marca che desse ad Adalberto
un tal titolo, solo da un diploma del 1184 concesso ad Obizzo suo discendente
da Federico Barbarossa puossi arguire che fosse la marca di Milano che
comprendeva la Lombardia e il genovesato che sembra si chiamasse ancora
marchesato di Liguria. I posteri di Adalberto continuarono a governare
quella Marca, fino a che le vicende politiche resero ereditario quel
titolo nella famiglia, senza che ne tenesse il governo.
Oberto I fiorì tra il 950 e il 972. Seguì le parti di
Berengario re d’Italia in unione ad un Adalberto suo figlio (950).
Ma poi fattosi avverso al re italiano, fu de’ principali motori
della venuta in Italia di Ottone per togliere la corona a Berengario.
Ottenuto che ebbe vittoria e coronato a Roma re d’Italia (961)
fece tosto molti atti di munificenza verso que’ marchesi e conti
che lo aveano assistito nella sua elevazione.
Da un passo di Riccobaldo citato dal Muratori si può desumere
che Oberto ottenesse in quell’occasione una specie di signoria
sopra Este, Monselice e Montagnana, luoghi che furono confermati in
donazione ai figli di Azzo II (1077) suoi discendenti, siccome vedremo.
Questo fatto fu accolto dal Sismondi: ‹‹ Ottone il Grande
che dimorava fuori d’Italia non << lasciò depositarie
del suo potere le sole città, poiché avea investito varii
signori <<tedeschi ed alcuni italiani, che gli aveano date sicure
prove di attaccamento dei feudi <<più importanti del marchesato
di Verona e del Friuli e del ducato di Carintia. Enrico di <<Baviera
suo fratello onde avere in ogni tempo libero l’ingresso in Italia,
creò il <<marchesato di Este in favore dei gentiluomini
che lo aveano assistito contro di <<Berengario >>. Certo
è soltanto che Oberto fu creato da Ottone conte del Sacro Palazzo,
prima carica dopo quella del re in Italia, istituita appunto quale monarchica
rappresentanza.
Si hanno di lui molti placiti tenuti in qualità di Conte in Pavia,
Lucca, Luni, Volterra ed altri luoghi della Toscana. Diremo per ultimo
che professava la legge longobarda e che come il suo padre Adalberto
avea l’autorità sulla marca di Milano .
Oberto II nel 950 lo si trova Conte di Luni, e sappiamo che possedeva
terre nella Toscana e nella Lombardia, e dietro quanto sopra dicemmo,
fors’anche Este, Monselice e Montagnana.
Seguiva egli ultimamente Arduino marchese d’Ivrea che combatteva
pella corona d’Italia contro Enrico II re di Germania. La guerra
che si può dire fosse per l’indipendenza durò dieci
anni, ne rimase soccombente Beduino; ed Oberto restò prigioniero
con tre figli e col suo nipote Alberto Azzo II e ne ebbe per condanna
che furono posti al fisco i suoi beni; e quindi gli venne confiscata
la signoria sopra Este e sul Polesine.
Dopo qualche anno Oberto ricuperò la libertà, la grazia
imperiale e i suoi beni. Ma morto Enrico II (1024), fece una nuova lega
con Olderico Manfredi Marchese di Susa al quale avea data in moglie
la propria figlia Berta per dare la corona italica ad un principe francese,
ma tutto quel maneggio andò a vuoto, allorché Corrado
II assistito dal-l’arcivescovo di Milano calò in Italia
(1026) e si fece incoronare a re d’Italia: Oberto e suoi figli
stettero per poco con i ribelli Pavesi, ma finalmente col nuovo imperatore
si ricon-ciliarono.
Alberto Azzo I fiorì tra il 1013 e il 1029. Fatto per noi assai
importante si è il trovare questo principe tenere un placito
a Monselice in favore delle monache di S. Zaccaria di Venezia contro
l’Abazia della Vangadizza per S. Pietro di Monselice che ne dipendeva.
Marchese egli si intitola. Locchè ci trae ad affermare con sicurezza
che prima della metà del secolo undecimo i marchesi aveano giurisdizione
in Este, Monselice e Montagnana.
Nessun lume però abbiamo se alcun de’ sopraccennati marchesi
avesse ancora fatto stabile soggiorno tra noi, ma or ora troveremo il
figlio di Alberto Azzo I stabilire sua dimora in Este, e da esso chiamarsi
marchese Estense, titolo che sorvive ancora nelle famiglie principesche
d’Europa che ebbero relazione di sangue con questa illustre famiglia.
CAPO VII
ESTE È FATTA RESIDENZA DEI MARCHESI
AZZO II PRIMO MARCHESE ESTENSE
Largo e luminoso campo qui si
apre a questa storia, mentre siam giunti a quell’Azzo II che fu
il fondatore della grandezza della sua prosapia, e fu quegli, a cui
tanto piacque l’ameno sito di questa nostra città, che
volle quivi formare sua stanza, erigersi condegno palazzo, e circondarsi
di mura e torri contro i prepotenti vicini se mai ne fossero.
Governo misto rimase però in Este, siccome vedremo, mentre allato
a quella illustre famiglia sussistette sempre il nostro Comune, e una
nostra storia ci fu lasciata; né agli estensi toccarono di quelle
ferocie che incolsero altre città italiane che s’aveano
avventurato in mani prepotenti che le dominavano.
Il nostro Azzo, che tale possiamo dirlo, rimase senza fratelli siccome
appare; per il che in sé concentrava i copiosi beni di famiglia
sparsi nella Toscana e nella Lombardia. visse lunghissima etade (996-1097)
ed ebbe agio e forte volontà di formarsi un grande retaggio.
Di molto contribuì ad elevare Este dalle patite disavventure,
e le rifletté molta parte di quella gloria che si andò
egli acquistando col senno e colla mano in Italia e fuori.
Prima nostra ricerca deve essere quando Alberto Azzo venne ad abitare
in Este.
Troviamo Azzo nel 1045 essere stato Conte di Milano, nel 1050 conte
della Lunigiana, ove abitava talvolta. Decesso nel 1056 l’imperatore
Enrico III non si ha più memoria di alcun regio governo a lui
conferito. Crescendo le fazioni in Italia che in seguito menarono i
dissidii religiosi sotto Enrico IV, sembra che Azzo stanco de’
politici disordini, e forse meglio per assicurarsi i suoi grandi possedimenti
nella Lombardia sulla metà appunto del secolo XI si determinasse
di mettersi ad essi vicino, prescegliendo Este da cui governare le altre
terre dove avea proprietà e giurisdizione .
Monumento certo della predilezione di Azzo per questa nostra terra si
è l’aver egli preso per sé e successori il nome
di estense, che si perpetuava nei rami della sua prosapia in Italia
e Germania.
Este cominciò allora ad alquanto rabbellirsi ed accrescersi.
Il Marchese seguendo il costume della ferrea etade che allora correva,
fabbricossi un castello che sta appoggiato ad un’amena collina
a borea, e terminava allora col fiume che gli passava dinanzi. A poco
a poco rimpetto a quel castello andò formandosi nuova e larga
contrada, Borgo Nuovo perciò si disse, e che apriva ai marchesi
una vaga esteriore veduta.
Veniamo ora ai più illustri fatti di Azzo che alla nostra storia
in qualche guisa si connettono.
Cominciò da illustre matrimonio, che procurò grandi destini
alla sua famiglia, dando la sua mano di sposo a Cunizza (o Cunegonda)
figlia di Guelfo II Conte di Altorf e signore di Ravensburg (Svevia)
detta anche dei Welphes . Recossi in dote il villaggio di Solesino la
qual corte comprendeva oltre il castello anche i villaggi di S. Elena,
Vescovana, Stan-ghella, Granze di Vescovana, Boara, Concadirame, Barbona,
e Lusia di qua dall’Adige e fors’anche la Rotta Sabbadina
e Vall’Urbana.
Cunizza moriva nel 1057 lasciando un figlio il quale divenne ancor giovinetto
Conte di Altorf e poi Duca di Baviera e Sassonia col nome di Guelfo
IV, e fu progenitore dei duchi di Brunsvich e Annover, e con essi della
illustre casa ora regnante nella Gran Bretagna.
Deve bene fissarsi nella mente del lettore questo punto di storia, mentre
per esso il sangue della famiglia estense si diffuse in tutta la Germania
fino a’ nostri giorni, e ben presto vedremo siccome la casa di
Altorf ebbe signoria anche in Este come eredità di Azzo II, e
come durassero a lungo le controversie colli altri figli di Azzo sostenute
anche coll’armi pel possedimento di questa nostra città.
Cunizza che avea recato sì grandi destini alla casa di Azzo fu
sepolta nella Abazìa della Vangadizza, ove giacciono anche altri
principi estensi.
Azzo passava ad altre non meno illustri nozze con Garsenda figlia di
Ugo II Conte del Maine dalla quale ebbe due figli Ugo e Folco, il primo
de’ quali stava per incontrare la stessa fortuna di Guelfo, sebbene
non ne raccogliesse gli stessi vantaggi.
Morto Erberto fratello di Garsenda senza figli, gli abitanti del Maine
chiamavano Ugo a loro conte, benché Erberto si avesse nominato
erede Guglielmo il Conquistatore duca di Normandia. L’incapacità
a governare di Ugo, e le improntitudini di sua madre furon cagione che
dovettero ambedue ritornare presso di Azzo in Este cedendo alla fortuna
di Guglielmo. Ugo non ritenne che il soprannome di Manso. Ed ecco siccome
per poco stette che la casa estense non prendesse radice oltreché
in Germania anche nella Francia.
Allorché scoppiava la celebre contesa pelle investiture tra l’imperatore
Enrico IV e Papa Gregorio VII, Azzo si poneva in accordo con Guelfo
IV di Baviera suo figlio e colla famosa contessa Matilde per sostenere
le parti papali, ché anzi divenne il capo e l’anima della
parte guelfa in Italia (1076); e si fece mediatore nel componimento
tra l’impero e il papato (1077) che ebbe luogo a Canossa.
Profittava tosto Azzo della felice sua posizione per ottenere a favore
de’ suoi figli Ugo e Folco la conferma imperiale de’ possedimenti
di famiglia in Italia.
Prezioso è questo documento per questa storia, mentre per una
parte ci viene da esso dimostrato quanta estensione di beni possedesse
la casa estense, dei quali Este, fatta residenza dei marchesi, n’era
come la capitale; dall’altra ci è dato a conoscere che
Azzo avea in quell’epoca giurisdizione in Este indipendente affatto
dal Conte di Padova e dal Marchese di Verona, ma solo professando soggezione
all’impero, e non cedendo la mano fuorché ai legati imperiali.
Ci sentiamo quindi obbligati a riportare per intero questo documento
voltato nella nostra lingua, quale fondamento del secondo Periodo di
questa storia, siccome la celebre pietra di confine lo fu del primo:
<<Nel nome della santa ed indivisibile Trinità Enrico IV
re per la grazia di Dio:
<<Noi crediamo che se presteremo le orecchie della nostra pietà
alle giuste inchieste <<dei nostri fedeli, e adempiremo regalmente
ai loro giusti desiderii, noi meglio saremo <<per governare il
nostro regno, mentre queglino perseveranno più costantemente
ad <<esserci fedeli. Per lo che sia noto agli officiosi nostri
fedeli tanto presenti che venturi, <<siccome noi per suffragio
dell’anima nostra e del nostro genitore, coll’intervento
di <<Gregori vescovo di Vercelli nostro diletto cancelliere, concediamo
ad Ugo e Folco <<fratelli e figli del Marchese Azzo tutte le cose
che sono poste nel contado di Gavello, <<Rovigo, Cedermano Sarzano,
Mardimago col suo contado, e arimannia , e tutto ciò <<che
vi appartiene; concediamo ancora l’Abazìa di Borseda e
quella della Vangadizza <<; nel contado padovano Este, Arquà,
Pauso (Ponso), Vighizzolo, Solesino, Villa <<(Villa di Villa),
Finale, Ancarano, Carmignano, Merendole, Monselice , Tribano, <<Correggia,
Olesia Saletto, Migliadino, Montagnana, Casale, Altadura, Urbana, <<Merlara
con tutti gli arimanni che spettano a queste corti; nel contado ferrarese
<<Manego, Baniolo, S. Martino, Villa Comeda, Arquato; nel contado
veronese, Isola <<maggiore e Sommacampagna; nel comitato bresciano
Casalmaggiore, Videlsana <<(Viadana), Pomponesco, Pangunedo; nel
contado cremonese S. Paolo; nel contado <<parmense Soragna, Pairola,
Busseto, Nosseto, Guazanegolo, Cortesella, Mairago, <<Splelio;
nel contado lunense Pontremoli, Filaterra, Castaulo, Verugula, Mazucasco,
<<Venegla, Comano, Panigale con ogni possessione appartenente
a Guidone figlio di <<Dodone; l’abazia di S. Caprazio, Martula,
l’altra abbazia di S. Salvatore in linaria
<<Cervaria, Valerana, Barderana, Bucagnola, Arcola, Madragnana,
Ceula, Monella, <<Adarino, Carcodamo, e Valle in piano; nel contado
aretino alcuni beni entro la città << (Arezzo); nel lucchese
e pisano tutta quella terra che si chiama Obertenga; nel <<contado
piacentino l’abazia di S. Giovanni in Vigolo, Castelpanciole e
San Martino in <<strada; nel contado modenese Solera, Erbera,
Campogaliano; nel contado terdonense <<Sale, Nazano, Arquada;
e qualunque altra cosa è tenuta in possesso, o deve essere <<posseduta
dal marchese Azzo; e tutto ciò che lo stesso Marchese tiene ed
ha tenuto in <<suo diritto nei sopradetti contadi concediamo,
porgiamo, e confermiamo ai predetti <<fratelli Ugo e Folco figli
dello stesso marchese Azzo mediante tradizione e conferma da <<noi
comandata. Ordiniamo adunque che nessun vescovo, duca, marchese, conte,
<<visconte, gastaldo, nessun piccolo e grande del nostro regno
presuma od osi molestare <<inquietare o spogliare li predetti
fratelli figli del suaccennato Marchese di alcuni delli <<sopradetti
beni. Ove poi qualcuno, locchè non crediamo, infrangesse il soprascritto
<<comando e conferma, sappia che dovrà pagare mille libbre
di buon oro, per metà alla <<nostra Camera (fiscale) e
per metà alli suddetti fratelli. E perché si presti al
presente <<maggiore osservanza, dopo aver firmato di nostra propria
mano, comandiamo che vi si <<sottoponga il nostro Sigillo.>>
Né questi erano i soli beni posseduti da questa doviziosissima
famiglia a quell’epoca, laddove puossi veramente asserire che
se congiunti gli uni agli altri fossero stati, avrebber formato uno
stato di qualche rilevanza.
Sappiamo che li marchesi estensi possedevano il castello di Bavone da
loro avuto in feudo dal vescovo di Padova il qual possedimento fu poi
dalla casa estense subfeudato alla famiglia loro vassalla di Bavone.
Anche la corte e terra di Lusia che stava allora nella diocesi di Adria
apparteneva ai Marchesi, e l’aveano avuta (1079) dal capitolo
canonicale di Verona .
Aveano pure giurisdizione i marchesi sul castello di Arquà ,
quale poi concessero in feudo ai Conti di Abano, mobilissima famiglia
padovana.
Si aggiunga che li Cattanei da Lendinara possedevano come ricevuto dai
nostri principi estensi un feudo, che dovea essere situato o nel Polesine,
o nella Scodosia, o anche nel territorio atestino, in tutti i quali
luoghi si trovano beni dei Da Lendinara.
Ci è palese inoltre che i nostri marchesi aveano concesso un
feudo ai Salinguerra di Ferrara che probabilmente dovè esistere
in quel territorio. Torello padre di Salinguerra nel 1178 fa un feudo
di divisione tra Alberto, Obizzo e Bonifazio marchesi estensi, dei quali
si appella vassallo ; e finalmente è provato dalle lettere di
Gregorio VII al vescovo di Pavia che gli estensi teneano un feudo dalla
chiesa romana, del quale null’altro si sa se non che stava situato
in Lombardia.
Ben a ragione adunque nelle carte di quell’età si trova
il nostro Azzo II chiamato uomo
ricchissimo dagli scrittori contemporanei .
Circondato egli da sì belli dominii, recidendo in Este, e spargendo
la sua fama in Italia e fuori, procurava nuovi onori e ingrandimenti
a’ suoi figli, cui destinava eredi della grandezza paterna.
nello stesso tempo (an. 1077) che Azzo si faceva mediatore alla pace
di Canossa tra la chiesa e l’impero, Ugo detto il Manso, di cui
poco innanzi dicemmo, passava a seconde illustri nozze con Eria figlia
del celebre conquistatore Roberto Guiscardo duca di Puglia e Calabria,
e sorella di Boemondo uno de’ più famosi eroi della prima
crociata. Lo stesso Azzo recossi nel napoletano a fare omaggio alla
illustre sposa, la quale carica di doni dai conti e signori vassalli
di Guglielmo, venne accompagnata con grande comitiva in Este .
Matrimonio sì bene augurato venne cantato dal poeta Guglielmo
pugliese contemporaneo .
Ma Azzo teneva d’occhio anche la parte di sua famiglia che si
trovava in Germania.
Fece sposare a Guelfo V, di cui era avo, la celebre contessa Matilde
di Toscana (1089). Da questa unione insorsero più tardi gravi
controversie, laddove il ramo degli estensi di Germania pretese più
volte ai beni della contessa, sebbene essa morendo (1115) ne disponesse
a favore della chiesa romana.
Rinnovatasi la guerra tra il Sacerdozio e l’Impero per l’eterna
questione delle investiture, Matilde (1091) incitata dallo stesso Azzo
chiamò a sé Ugo che vivea ritirato e gli affidò
il comando delle sue milizie da condursi contro quelle dell’imperatore
Enrico IV. Ma Ugo toccò una sconfitta presso Montagnana, e siccome
suole addivenire in simili casi, suonò la fama, che fosse egli
occultamente in corrispondenza secreta con Enrico e che avesse negletta
una bella occasione di vincere.
Fu questa forse la cagione, che indusse poco appresso (1095) la stessa
contessa a fare divorzio da Guelfo V, del che n’ebbe fiero disdegno
il padre Guelfo IV Duca di Baviera e Sassonia, il quale venne in Italia,
e rimenò suo figlio ne’ proprii stati.
In tale contrasto di cose nacque grave scissura anche tra i due figli
di Azzo che dimoravano in Este, Ugo e Folco, al qual ultimo in disfavore
del primo erano stati assegnati i possedimenti tutti che la famiglia
teneva in Italia.
Si venne presto ad un accomodamento procurato senza alcun dubbio dall’autorità
del vecchio lor padre (1095), ed è questa transazione, il primo
atto che possediamo, eretto in Este dai marchesi . Ugo si obbliga a
rimanere vassallo a Folco suo fratello pella sua porzione di beni che
a lui toccherebbe dopo la morte del padre. Così quell’Ugo,
che sembrava dalla fortuna condotto al principato del Maine in Francia,
terminò col divenire vassallo del suo fratello Folco. Poco appresso
esso moriva (an. 1097).
Così era ricondotta la pace nella casa estense, ed Azzo magnifico
Signore vivea in Este circondato dai proprii possedimenti e dalle famiglie
sue vassalle. Prossimo alla sua fine fece un tratto di splendidezza
e di alta pietà col far donazione (an. 1097) di ben cinquanta
possessioni al suo prediletto monastero della Vangadizza, situate nel
fondo di Monselice, Urbana, Casale, Altadura e Merlara .
Pochi mesi appresso (an.1097) il grande Azzo II marchese estense quasi
centenne usciva da questa vita. Fu il vero fondatore della grandezza
della sua casa, avendole procurato lustro e beni in Italia e in Germania,
e per poco anche in Francia.
Principe veramente illustre lasciava un cospicuo retaggio e il nome
di estense alle due famiglie Germanica ed Italiana, che gran parte ebbero
negli avvenimenti della età di mezzo, e tennero corti splendide
nel tempo moderno.
Capo VIII
CONTRASTI E GUERRE TRA
IL PRIMOGENITO E SECONDOGENITO DEI MARCHESI ESTENSI PEL POSSESSO DEI
BENI IN ITALIA
In Folco figlio del secondo
letto di Azzo II con Garsenda del Maine si concentravano tutti i possedimenti
della casa estense in Italia, dopo la rinuncia fattane da Ugo il Manso,
come poco fa abbiamo narrato.
Ma la concordia fraterna dopo la morte del padre fu di breve durata.
Guelfo IV primogenito di Azzo Duca di Baviera e Sassonia non si acquietava
alla volontà del suo padre, ma chiese a Folco la metà
dei beni in Italia. Avutane ripulsa, si reca in Italia con forte mano
d’armati impadronendosi a viva forza delle terre e beni della
famiglia in Italia e anche di Este (1098). Folco però continuava
a stare sull’armi fino a che si venne ad un componimento nel quale
Folco dov’è cedere al fratello Guelfo, pella solita ragione
del più forte, una parte de’ suoi beni di Lombardia e Toscana,
il Polesine di Rovigo, Este e Bavone, non restando a lui che Monselice,
Montagnana, e buona parte del suo territorio detto allora Scodosia.
Colpo fu questo fatale alla grandezza di Folco, il quale era stato destinato
dal grande suo padre a fondare un potente casato in Italia, ma in breve
se ne riscattò, come fra poco vedremo.
Ecco frattanto il nostro Este appartenere alla casa de’ Guelfi,
i quali assunsero anch’essi quel titolo ormai divenuto celebre
di estensi, e che si perpetuò e vive ancora nelle regnanti case
(discendenti direttamente da quel Guelfo IV figlio di Azzo II estense)
di Brunsvich, d’Annover, d’Inghilterra e loro ramificazioni
.
Guelfo dopo tali fatti, pe’ quali avea spezzate le disposizioni
del padre, forse per ingraziarsi col cielo volle prender parte alla
crociata in Terra santa, ivi recandosi scortato da numerosa armata in
compagnia di Guglielmo Duca d’Aquitania (an. 1101). Dopo sostenuti
fieri assalti contro gl’ infedeli entra in Gerusalemme e scioglie
il voto; ma nel ritornare a’ suoi stati, dov’è soccombere
alla morte nell’isola di Cipro.
Il Tasso usando di un felice anacronismo ne fece uno de’ capitani
della grande crociata, che condotta da Goffredo conquistava la città
di Dio nel 1099.
Così dell’estense Guelfo canta l’epico poeta:
<< Occupa Guelfo il campo a lor vicino,
<< Uom che all’alta fortuna agguaglia il merto.
<< Conta costui per genitor latino
<< Degli avi estensi un lungo ordine e certo.
<< Ma german di nome e di dominio,
<< Ne la gran casa de’ Guelfoni è inserto.
<< Regge Carintiae presso l’Istro è il Reno
<< Ciò che i prischi Suevi e i Reti avièno.
<< A questo che retaggio era materno,
<< Acquisti ei giunse gloriosi e grandi.
<< Quindi gente traea che prende a scherno
<< D’andar contro la morte ov’ ei comandi:
<< Usa a temprar ne’ caldi alberghi il verno,
<< E celebrar con lieti inviti i prandi;
<< Fur cinquemila alla partenza, e appena
<< (De’ Persi avanzo) il terzo or qui ne mena >>.
Dalle cronache delle città a noi vicine abbiamo che molti de’
loro figli andarono alla grande impresa di Terra Santa, e non potrà
dirsi illusione di storico cittadino, se tengo per certo che alcuni
atestini avranno seguitato colle armi il loro Duca, il quale dovea certamente
aver fatta raccolta di militi in tutti i suoi beni, se potè far
fronte all’oste infedele. la deficienza di cronache estensi contemporanee
ci tolse pur troppo la memoria di questo e di altri fatti gloriosi alla
nostra città.
Ma frattanto Folco anelava al ricupero delle sue terre in Italia a gran
pena cedute al fratello Guelfo.
Dimorava egli ora a Montagnana e talora a Monselice, ove teneva anche
la propria camera fiscale. Nel 1100 lo troviamo in Montagnana a far
donazione al monastero de’ chierici di S. Salvatore (detto volgarmente
S. Salvaro), posto d’appresso alla Fratta fiumicello che in quel
sito separa il padovano territorio dal veronese , e nel 1115 altre terre
poste alla Costa villaggio del Polesine donava al monastero di S. Benedetto
di Polirone nel mantovano; dichiarando di fare lui tale atto benefico
per eseguire la volontà di sua madre contessa Garsenda e a quanto
sembra anche pel bene dell’anima di Ugo suo fratello.
Nell’anno stesso (1115) lo si trova Folco in Monselice allorché
ivi tenne un placido ossia giudizio di antica controversia vertente
tra il monastero di S. Giustina di Padova e quello di S. Zaccaria di
Venezia pella chiesa di S. Tommaso fuori di Monselice. Il Marchese giudicò
a favore delle monache di S. Zaccaria.
Apprendiamo da questo documento importante siccome Folco << avea
giurisdizione in Monselice, sedendo in Giudizio quale signore per amministrare
giustizia e commettendo ai Giudici assistenti di dare il loro parere
>> . Più ancora, egli potea imporre multe e altre pene
pecuniarie , la metà delle quali cadevano a beneficio del proprio
fisco . Finalmente ci è qui noto che il Marchese avea in Monselice
il suo palazzo dominicale pres-so la chiesa di S. Paolo .
Fra questo tempo Enrico detto il Nero, figlio di Guelfo IV estense,
e fratello del Duca Guelfo V suo socio nel comando in Baviera, venne
in Este come luogo di sua pertinenza, e lo troviamo nell’anno
1107 fare in Este presso S. Tecla (luogo antico del Comune) donazione
al monastero di S. Maria delle Carceri di un braido dominicale .
Non ci è palese quanto tempo quel Duca rimanesse fra noi. Solamente
da quanto in appresso avvenne, ci è mestieri inferire che essendosi
allontanato Enrico da’ suoi stati d’Italia, Folco ne profittasse
tosto per invaderli e farne il riconquisto. Non è noto se a tal
fine sia successo alcun fatto d’arme. Comunque sia, Folco nel
2 Ottobre dello stesso anno 1115 risiedeva in Este, ove nel vestibolo
di S. Tecla fe’ erigere una donazione ai monaci della Trinità
del Monte Oliveto fuor di Verona di alcune terre con chiesa dedicata
a S. Martino ed un ospizio per pellegrini nel villaggio di Trecontadi
. A questo pubblico atto intervennero quali testimoni Rodolfo Cattaneo
di Lendinara, famiglia che diede sempre valorosi militi, Reniero soldato
del Marchese (miles marchionis) cioè uomo d’arme o cavaliere
stipendiato, ed Isnardo celebre armigero (praeclarus miles). Folco stava
adunque circondato a quell’epoca d’armi e d’armati
suoi vassalli, forse perché non erano finite ancora le pretese
del nipote Duca di Baviera. Alla solenne donazione stava presente anche
Sinibaldo Vescovo di Padova (in presentia padanensis episcopi). Sorge
ora la ricerca del motivo, per cui si trovava in Este quel vescovo.
Egli è a sapere che Enrico V imperatore (1111 - 1125) sotto apparenza
di voler dar termine alle sue differenze inverso la corte papale per
le investiture, in fatto le fomentava esercitando sevizie contro i partigiani
del Pontefice. Il vescovo di Padova Pietro stava per Enrico, e scomunicato
com’era, dopo essere stato alcun tempo ritirato in Piove di Sacco
feudo della mensa vescovile, soccorso dalle armi imperiali, discacciò
dalla sua sede il cattolico Sinisbaldo che dové col suo arciprete
Bellino che fu poi anch’esso vescovo di Padova.
Ambedue si ricoverarono in Este sotto la protezione degli estensi Marchesi
capi del partito guelfo e quivi, come sembra, rimasero fino verso l’anno
1117. Si vuole anche che soggiornando quel vescovo in Este, vi istituisse
in quell’occasione la Collegiata canonicale, che fino agli ultimi
tempi (1810 si è conservata .
Ma la guerra tra le due case estensi non era ancora finita. Alla venuta
dell’Imperatore, Folco reo com’egli era di aver dato ricovero
a Sinibaldo, o si ritirava da Este, o colla forza ne veniva espulso.
Fatto è che Arrigo il Nero suo nipote vi era già ritornato,
mentre nel 4 ottobre dell’anno 1117 lo troviamo tenere un placito
in Este presso S. Tecla, dove se gli presentarono i preti delle carceri
facenti preghiera di confermare i beni alla loro chiesa. Lo stesso documento
ci dà i nomi di que’ consiglieri estensi che assistevano
al Duca in quella solennità e sono Girardo, Alberto, Bonigo,
e Giovanni. Ecco come qui troviamo il Comune estense, i cui membri esercitano
presso il Duca quello stesso uffizio che in seguito eser-citarono presso
il podestà. Della giurisdizione di quel Duca sugli Estensi non
è a dubitare, come rilevasi dall’imposto bando, dalle comminate
pene, e dall’applicazione della metà delle rendite penali
alla propria camera fiscale.
Poco dopo questo fatto (an. 1120) avvenne la morte di Guelfo IV fratello
maggiore di Enrico il Nero, senza lasciare di sé alcuna discendenza,
pel qual motivo gli successe il fratello nel ducato di Baviera e Sassonia.
Appare di tutta probabilità che Enrico III il Nero in tale occasione
abbandonasse Este e gli altri possedimenti in Italia per recarsi alla
propria sede ducale in Germania . Egli è certo che a queste parti
non si ha più memoria per molto tempo né di lui né
dei suoi discendenti, mentre Folco e i suoi figli e nipoti rimasero
soli e pacifici ne’ loro domini in Italia lasciati dal grande
Azzo II.
È però a supporsi che qui non fossero terminate le pretese
dei Duchi verso i Marchesi estensi, ma che se ne contendesse cogli scritti
se non con le armi. Finalmente però si concludeva una pace che
fu perpetua a Povegliano nel veronese (an. 1154) nella tenda dell’Imperatore
Federico I, il quale veniva allora a metter freno a Milano e alle altre
città italiane a libertade anelanti.
Enrico detto il Leone nipote di Enrico il Nero e figlio di Enrico il
Superbo stava al fianco dell’Imperatore allorché Bonifazio
e Folco II figli di Folco I Marchesi d’Este vennero a prestare
ossequio a quella maestà e ad impetrar un diploma che li rendesse
tranquilli quanto ai loro aviti possedimenti in Italia. A tale solenne
pacificazione stavano presenti alcuni personaggi atestini che vi accompagnarono
il Marchese. Ci è forza riportare per esteso questo documento,
anzi vero Trattato che segnò la gran divisione tra le due linee
italiana e germanica degli Estensi, titolo che in ambedue si perpetuava
come ricevuto dal capostipite Azzo II (Capo VII).
<< Cinque giorni prima del termine di ottobre. Essendo presenti
Spinarello, Bonadigo, <<Alberto notajo, Rademano, Garlassario,
Uberto, Isnardino, Tridentino, Adelardino, <<Gilardino, Alberico
da Lendinara, Antonio e suo figlio Rodolfino, Balduino da Scala, <<Albertino
Rolando e Arardo fratelli e figli del fu Erico causidico di Urbana,
Guarimberto <<figlio del prefato Alberto, Giordanino e il suo
fratello Enrico, Olderico, Guarniero di <<Soratico, Idone figlio
di Ugone detto Senza fatica, Guidone Baugherio, Briana da <<Labaro,
Federico da Primiero, Alberto da Monteorso, Liuto da Rovereto, Guidone
da <<Palma, Girardino figlio del fu Corrado Storto, Adelardo Gambarini
figlio del fu Corrado <<Storto, Adelardo Gambarini da Castello,
Ottone da Pressana, Bonizenone, Marzio da <<Este, Bernardino di
Marsilio, Arderico, Eruberto da Valesio, Uberto figlio di Lamberto da
<<Este, Alberico e Rendivacca da Casale, Prando fratello del fu
Bolgarello, Valario figlio <<del fu Corrado da Benzo, Albertino
figlio di Bonaguisa, Bertrame da S. Quirico, <<Malestondo Domasollo,
Castellano da Cereta, Desusio, Ugone dalla Rocca, Isachino da <<Legnago,
Odelrico figlio di Guidone Smanio, Pilo figlio di Azzardo, Rodolfino
Dall’Orto, <<Giovanni figlio di Girardo da Branda di Fornino,
Guglielmo figlio di Malerba mugnaio, <<Gabriele figlio di Adelardo
da Clarizia, Opizzone da Nogarola, Girardino figlio del fu <<Alberico,
Opizzino figlio di Inardo da Nogarola e Odelrico Sartori. Allorché
il re di buona <<memoria (Federico I) entrò in Italia e
prese residenza nel vescovato veronese presso <<Bosco e il villaggio
di Povegliano, Enrico (il Leone) figlio di Enrico (il Nero), Duca di
<<Sassonia investì col vessillo Bonifazio e Folco Marchesi
per sé e i suoi fratelli <<Alberto ed Obizzo assenti, nominatamente
di Este, Solesino, Arquà, Merendole e di <<tutte le terre,
castella, ville, selve, paludi, vegri, pascoli, saletti, acquedotti,
comuni, <<consorzii, pesche, servi, donne, famiglie con tutto
l’onore del mondo. Espressamente fu <<anche detto che dal
prefato (Imperatore) si dà e concede ai marchesi tutti quei beni
che <<l’avo (Azzo II) dei suddetti o il padre (Folco I)
o essi stessi ebbero o detennero o al <<presente hanno o detengono
giustamente o ingiustamente e specialmente quanto <<riguarda Arquà
e Merendole, col patto però di riconoscere tutto ciò in
feudo da esso <<(imperatore) succedendo l’uno all’altro
tanto essi che i loro eredi solamente maschi. <<Mancando questi,
succedano le femmine, e se alcuno di essi o dei loro eredi venisse a
<<morire senza eredi maschi in modo che nessun maschio sopravviva,
ed abbia una <<femmina fra i predetti fratelli o fra i loro discendenti,
allora succederà quella unica figlia. <<Del resto se nessun
maschio sopravvivesse, allora succede-ranno nel feudo quelli che <<discendono
dai Marchesi e dai loro eredi per parte di femmine tanto se maschi <<discendenti
da femmine, quanto se femmine.
<< Similmente lo stesso Duca promise ch’esso ed eredi darebbero
difesa ed autorità <<come di ragione ai detti marchesi
e ai loro eredi contro ogni uomo che volesse agire <<contro di
loro. Di più il prefato Duca dei Sassoni Enrico proscioglie i
Marchesi tanto <<presenti che assenti e tutti quelli che pei Marchesi
avessero offeso il Duca, per <<qualunque cosa che ingiustamente
contro di essi e suoi parenti in causa delle liti, <<controversie
e ragioni potesse far valere contro di essi . Perciò i marchesi
Bonifazio e <<Folco giurano sopra i sacri vangeli di Dio che pagheranno,
o da sé o a mezzo de’ suoi <<Nunci, quattrocento
marche d’argento al ridetto Duca o al suo Nuncio non più
in là e <<fino a quindici giorni dopo della prossima domenica.
<< Locchè tutto fu giurato di mantenere da parte dei Marchesi
colla mano e colla voce <<dei surriferiti Alberto, Rolando, Arardo
causidico, Uberto, e Bernardino da Lendinara. <<Lo stesso Duca
prese per mano lo stesso Arardo, e gli ordinò di porre i predetti
<<Marchesi nel possesso e detenzione del feudo sopradescritto,
e ne li rendesse <<possessori da parte del Duca Signore.
<< Furono presenti per parte del Duca l’avvocato Augusto
Armano, Masnerio, <<Limpoldo, Corredo da marengo, Amengariso e
molti altri della stessa curia.
<< Fatto sotto la tenda del Duca nell’anno del signore 1154
- Io Gabuardo notajo del <<Sacro Palazzo fui presente e scrissi
pregato dal Duca >>.
Così terminò quella lunga controversia che costò
anche del sangue tra le due linee dei principi estensi, differenze che
mai più risorsero, mentre grandi destini aspettavano l’una
e l’altra famiglia.
In Este si fe’ pubblica allegrezza per tale pace, che andava a
render pacifici i Marchesi nel possesso dei loro beni in Italia. Ritornarono
con gran pompa nella predetta loro residenza di Este, e il loro ingresso
venne festeggiato col suono delle campane, come se ne ha certa memoria
.
I due fratelli Marchesi assenti, Alberto ed Obizzo cercarono propizia
occasione per essere anche essi formalmente investiti dei beni pervenuti
nella loro famiglia dall’illustre Azzo II comune progenitore.
E l’occasione si presentò nel 1160 allorché Federico
I calò di nuovo in Italia per comprimere le libertà lombarde.
Era l’Imperatore accompagnato da Guelfo VI zio di Enrico il Leone,
e mentre stavano gli imperiali all’assedio di Crema, diede ad
Obizzo ed Alberto apposita investitura in Este, Solesino, Arquà
e altri beni, del qual documento, per essere siffatto simile all’altro
testè riportato, se ne fa qui ommissione .
Così fur definitivamente fissate le sorti di Este e suo territorio
e fu compiuta l’opera di Azzo II, che appunto avea procurato fama,
onori, ed estesissimi beni ai due rami della sua famiglia, l’uno
in Germania e l’altro in Italia, ad ambedue i quali non rimase
d’indi in poi comune che il titolo di estense appreso dalla nostra
città.
CAPO IX
LA CASA DEI MARCHESI RAFFERMATA
IN ESTE E SUE RELAZIONI COLLA COMUNITÀ ATESTINA
Avenne così l’intera
pacificazione dei discendenti dal celebre Alberto Azzo II, la quale
non fu mai più turbata dappoi. Rimaneva solamente comune ad ambedue
li rami della illustre prosapia il titolo di estense, che doveva ne’
secoli venturi riempire della sua fama e questa Italia e l’oltr’alpi.
La nostra città diveniva frattanto il soggiorno stabile dei <<
Principi estensi e capo dei loro domini >> detti anche perciò
principato estense dallo storico padovano Albertino Mussato .
Il marchese Folco I trapassava da questa vita nel 1128, siccome stava
annotato nei libri di Santa Maria delle Carceri e della Trinità
di Verona, monasteri tutti e due molto beneficati dai principi estensi
(Brunacci). Cinque figli a lui sopravvissero Bonifazio I, Obizzo I,
Folco II, Alberto, e Azzo IV .
Il Marchese Bonifazio moriva nel 1163 senza figli maschi e la sua parte
de’ beni feudali andava ad accrescere quella de’ suoi fratelli.
Intorno a quest’epoca (1160 - 1170) si dovè perdere Monselice
dai nostri Marchesi. Sembra che Federico Barbarossa, il quale voleva
abbattere oramai la parte guelfa, ne abbia egli stesso disposto a favore
del Patriarca di Aquileja. A Monselice già troviamo quel troppo
celebre vicario di Padova Pagano, il quale vi esercita amplissime facoltà.
Venne il tempo delle grandi dimostrazioni contro i vicari imperiali
nelle città lombarde, che voleano scuotere il giogo dello straniero,
suscitate dal ratto di Speronella (1164) avvenuto in Padova per opera
dello stesso Pagano << per il quale levata in armi tutta la <<
città fu prima nella Marca trivigiana ad unirsi; e di quel fatto
le furono grate le istorie >> (Leoni).
Costituitasi poco appresso la lega lombarda (1167) è dubbio che
vi partecipassero li Marchesi. Per altro è certo che Obizzo dovè
accostarsi alla lega, mentre, giusta il Maurisio storico contemporaneo,
nella riconciliazione procurata a molti lombardi pelle suppliche di
Ezzelino il Balbo (1175) si parla del Marchese siccome di chi dovea
essere rimesso nella grazia dell’Imperatore.
Vinta dai Lombardi la celebre battaglia di Legnano (1176) che procurò
libertà alle città italiane, avveniva a Venezia il grande
abboccamento tra il Pontefice Alessandro III e l’Imperatore già
scaduto dal suo orgoglio (1177). Molti Principi e Duchi si recarono
in quell’occasione a Venezia, tra i quali non mancarono i Marchesi
estensi accompagnativi, siccome è narrato da una cronaca citata
dal Muratori, da ben 180 uomini di corteggio, ed in essa è pur
detto che i principi estensi superavano gli altri per magnificenza e
splendore. In quello splendido accompagnamento saranno stati ben molti
estensi, siccome già si trova ne’ documenti che i Marchesi
tenevano al loro fianco giudici e guerrieri atestini.
Per due susseguenti anni (1177 - 1178) fu il marchese Obizzo eletto
a podestà di Padova, carica assai cospicua allora nelle libere
città italiane, avendo il comando dell’armi, e diritti
sulla vita degli stessi cittadini.
Folco II in questo moriva, non lasciando che un figlio chiamato Bonifazio
II, detto anche col gentil nome di Bonifazino. Ma avendo Folco disposto
di gran parte de’ suoi beni a favore di sua moglie, ne vennero
aspre contese tra Bonifazino ed i superstiti fratelli Alberto, ed Obizzo
i quali reclamavano i propri diritti feudali. A comporre tale dissidio
si chiamò Torello nobile e potente cittadino di Ferrara e padre
di quel Salinguerra che di-venne, siccome vedremo, aspro nemico degli
Estensi. Recossi il Torello nella corte estense di Solesino, ed ivi
sentite le ragioni d’entrambe le parti (1178) diede il suo arbitramentale
giudizio, in tal guisa adoprando che si evitassero per sempre le fraterne
contese.
Fa d’uopo che i lettori sappiano che a quest’epoca i dominii
estensi in tre distinte parti eran divisi: la Scodosia o l’odierno
territorio all’incirca di Montagnana; lo speciale territorio di
Este con Solesino, e il contado di Rovigo.
Ecco adunque siccome Torello proferì il proprio laudo, che integro
possediamo e che reputo degno di essere per intero qui riportato anche
in riguardo alle molteplici nozioni storiche in esso contenute, le quali
hanno una stretta connessione colla storia di Este e del suo territorio.
<< Nel nome di Cristo, così sia. Nell’anno della
Natività del Signore 1178 al tempo di <<Alessandro Papa
e di Federico Imperatore, al principiare del mese di Giugno, nella <<indizione
XV, nel villaggio di Solesino, io Torello fatta cognizione e udita la
volontà dei <<Marchesi, e così disaminate le liti
e controversie di Alberto, Obizio e Bonifazio, sulle <<quali gli
stessi Marchesi di piena loro volontà e spontaneità fecer
giuramento di <<abbandonarsi alla decisione che io sarò
per pronunciare; preso il consiglio di molti <<saggi, fo precetto
e comando che il fondo di Ramegosso resti comune fra li Marchesi; <<stabilisco
poi che il marchese Obizzo restituisca al march. Alberto il Maso della
Panica <<e il Casale di Sclaffatore , ed impongo che tutti e tre
i marchesi faccian divisione fra <<loro nel seguente modo - Il
march. Alberto faccia tre parti di tutta la Scodosia co’ suoi
<<vassalli, masnade, terre, acque ed altre cose, eccetto le comuni
delle terre. Sia quindi <<primo a scegliere il march. Obizzo,
secondo il march. Bonifazio, terzo il marchese <<Alberto. Bonifazio
poi tripartisca Este con Solesino e la Pieve di Villa. La prima scelta
<<sia del march. Alberto, la seconda del marchese Obizzo, la terza
di Bonifazio ed anche <<questa divisione si faccia coi vassalli,
masnade, terre e acque ed altre cose, eccetto le <<Comuni delle
terre. - Il march. Obizzo finalmente s’abbia per sé la
divisione del contado <<di Rovigo co’ suoi vassalli, masnade,
terre ed acque ed altre cose eccetto le Comuni <<delle terre.
Il march. Bonifazio abbia la prima scelta, il march. Alberto la seconda,
e il <<march. Obizzo rimanga colla terza. - Tutto ciò
sia diviso siccome sopra si è detto, <<tranne il feudo
di Alberto III e suoi nipoti, e tranne il feudo di Torello e quello
di <<Alberto da Bavone , quello di Adelardino e di quei da Cavrino
ad eccezione dei <<castelli comuni . Questi soli divideranno i
Marchesi a lor piacimento. Frattanto ordino <<che nessun Marchese
acquisti alcuna arimannia propria di qualche milite dell’altro,
la <<quale sia determinata comune fra di essi. Ed ordino pure
che siano comuni tra i <<Marchesi la Torricella e Mota e se il
March. Alberto vi facesse qualche cangiamento, <<il March. Obizzo
e Bonifazio gliene diano compenso, e il March. Alberto ne abbia due
<<parti, se tutto a suo favore non restasse. E voglio che Folcoino
possegga e tenga <<Torricella e Mota a titolo di feudo senza giuramento
da tutti i Marchesi in comune. Ma <<Folcoino presti sicurezza
ai Marchesi con giuramento e pegno ch’esso non sarà per
<<recare alcuna offesa dalla predetta Torricella e Mota con qualunque
mezzo ad alcuno <<dei Marchesi. Né esso Folcoino faccia
innalzare la detta torre, né la munisca d’armi, né
<<vi faccia alcun edifizio, né alcuna cosa lasci fare nella
detta Torricella e Mota senza la <<concorde volontà dei
Marchesi. Impongo ancora che sia vietato a uno o due soli <<Marchesi
distruggere la detta Torricella e Mota senza assentimento del terzo
e che fra <<un mese sia così convenuto con Folcoino. -
E voglio pure che nessun Marchese faccia <<o lasci fare alcuna
fortezza fuori delle castella in tutta la sua giurisdizione se non di
<<comune consenso; e voglio che nessun Marchese ne’ castelli
eriga torre, doglione o <<betifredo di muro senza la volontà
di tutti; ma sia pur lecito rifare le antiche torri secondo <<l’antico
loro ordine senza frode. E voglio che non si faccia divisione delle
cose <<sopradescritte da qui sino al prossimo giorno di Natale
se non di comune accordo. <<Locchè tutto di tener fermo
e conservare promisero sotto pena di 100 lire imperiali. E <<Folcoino,
come fu detto, fece giuramento e quanto tiene… obbligò
in pegno per 100 <<lire imperiali. - Furono a tale atto testimonii
il Conte Uguccione, Alberto Terzo, Buono <<Giovanni giudice, Signorello
giudice causidico, Girardo da Lusia, Coco, Alberto da <<Urbana,
Ferratore, Bazzio, Berigo, il Priore delle Carceri ed altri molti.>>.
Così fu tolta la cagione di nuovi dissidii nella casa estense,
la quale, dopo aver sostenuto i proprii diritti a mano armata contro
i Guelfi, non ebbe mai più a deplorare guerre di famiglia, le
quali insanguinarono pur troppo la memoria di altre illustri case italiane
ne’ mezzi tempi. E così troveremo i Marchesi soltanto provocati
ricorrere alle armi, e non mai sprecare il sangue de’ loro soggetti.
Verità è questa che onora altamente questo casato.
Il Marchese Obizzo avea tanto piaciuto ai Padovani come loro Podestà,
che lo richiamarono a tal carica nel 1181. A Padova giurò egli,
quale rappresentante quella città, il compromesso fatto dai Trivigiani
da una parte, e dall’altra i cenedesi e que’ di Conegliano,
federati ed assistiti questi ultimi dai Padovani nell’aspra battaglia
avvenuta pel possesso di Noale che rimase dei Trivigiani; ma fu però
quella l’occasione , in cui i confederati Cenedesi e Coneglianesi
si tolsero da ogni giurisdizione e dipendenza da Trevigi. L’anno
appresso (1182) è assai rimarchevole pella nostra storia municipale,
laddove troviamo in contesa dinanzi a’ Giudici il popolo atestino
coi Marchesi. Ecco qual ne fu l’occasione.
Alcuni uomini estensi si eran fatto lecito d’impadronirsi di soppiatto
e a poco a poco di que’ beni che servivano alle pubbliche commodità
entro Este e fuori. Parte s’appropriavano le paludi, parte occupavano
alcune strade e rive dei fiumi, ed altri ancora aveano invaso i beni
del comune e sul monte ed al piano. Appare che gli Estensi intendessero
allora di far sua ogni cosa che o pubblica fosse o della comunità.
Si fu propriamente una di quelle epoche di usurpazioni, che a quando
a quando intristiscono le comunità, li cui moderatori e rappresentanti
si stanno sonnecchiando, mentre ne durano per secoli le pessime conseguenze.
Aveano pretesa ancora quelli Estensi invasori che nemmeno i Marchesi
avessero o potessero avere ragioni o diritti su quei beni da essi occupati.
Per venire a qualche definizione in tale mescolanza di giurisdizione
e di possesso, i Marchesi promossero una pubblica lite, e per una delicatezza,
insolita certamente a que’ tempi in una potente famiglia, chiamarono
a giudicare della contesa quegli uomini periti nel diritto ch’essi
tenevano appresso di sé per amministrare giustizia. Con grande
solennità il palazzo pubblico del nostro Comune venne aperto
alla discussione. I marchesi Obizzo, Bonifazio e Alberto stavano seduti
sul proprio seggio; accanto a loro sedevano cinque giudici tra’
quali ci sono ricordati Arardo da Montecchio, un certo Bongiovanni ed
un Alberto; di contro ad essi stava il Consiglio della Comunità
atestina composto allora di 60 rappresentanti, i quali in faccia ai
Marchesi doveano sostenere le ragioni del popolo estense.
Rappresentarono i Marchesi a quel consesso i pregiudizii che si erano
arrecati ai proprii beni dagli uomini estensi, pretendendo che le paludi,
i fiumi e le strade fosser di loro proprietà quali regalie che
riconoscevano dall’impero, e che i beni pubblici posti o al monte
o al piano fossero in parte di loro ragione e in parte del comune. Cinque
probe persone si elessero da entrambe le parti per ispezionare i luoghi,
le quali riportarono proprio ai Giudici quanto aveano veduto ed osservato.
Udite poi le reciproche ragioni, i giudici profersero la seguente sentenza:
le paludi, che sempre furon tali, dover essere regalie dei Marchesi,
mentre in favore del Comune atestino si dovrebbe distruggere qualunque
opifizio che impedisce il corso e la navigazione del fiume o ne guastasse
le ripe: finalmente doversi levare sotto pena di multa ogni ingombro
sì alle acque che alle strade.
Gli Estensi non si acquietarono a tal giudicato,ma ne appellarono tosto
all’imperatore Federico, il quale si trovava allora a Magonza,
ed ivi col seguente Rescritto, ch’è pregio dell’opera
il riportare qui traslatato nel volgare idioma, egli definì la
questione:
<< Federico, per la mercé di Dio Imperatore Augusto de’
Romani, imparte la sua grazia <<a’ suoi fedeli Alberto,
Obizzo e Bonifazio Marchesi di Este. - Ci venne a cognizione <<che
i nostri savj Arardo da Montecchio, Buono Giovanni e Alberto giudici
diedero la <<seguente sentenza sulla questione tra voi insorta
e gli uomini di Este:
<< Nel nome del Signore. Allorché tutti i Marchesi di Este,
cioè Alberto, Obizzo e <<Bonifazio secondo il rito de’
loro predecessori risiedevano in Este, tenendo un placito <<generale
affine di render giustizia alla gente, e mentre ad esso assistevano
Arardo, <<Buono Giovanni, Alberto, Gerardo, Auliverio, giudici,
Ottolino dalla Rocca, Gerardo da <<Lusia, Calzolario da Pressana,
Trogerino da Monselice, Artusino da Noclezola, <<Mainento da Rovigo
ed altri molti - grandi lagnanze i Marchesi presentarono ai predetti
<<giudici contro gli uomini di Este, che ingiustamente aveano
invaso le paludi nella <<corte di Este, ch’essi reclamavano
quali regalie di loro pertinenza per le leggi <<dell’impero,
e così altre regalie esistere a loro favore e nei fiumi pubblici
navigabili, e <<nelle strade. E dicevamo che aveano queglino invaso
li beni comunali, e sul monte e <<al piano e nei boschi, i quali
asserivano parte di loro proprietà e parte della Comunità
di <<Este . Le quali cose vennero attestate dai giurati eletti
tanto dai Marchesi quanto <<dagli uomini di Este con loro giuramento,
i quali tutti ciascuno per sé alla presenza dei <<Marchesi
e dei vicini aveano giurato di dire la verità, e tacere ogni
falsità. Per la qual <<cosa i predetti Giudici, cioè
Arardo, Buono Giovanni, ed Alberto, dopo udite e bene <<discusse
le allegazioni dei giurati, quali erano Giovanni da Bruno, Azone da
Ferrario, <<Roberto da Valle, Pietro di Gisla, e Manelmo, così
determinarono e giudicarono - tutte <<le paludi della corte di
Este, che tali erano state da lunghissimo tempo, delle quali <<nessuna
memoria esistesse che fossero state sempre paludi, dover esser regalie
e per <<legge dell’impero appartenere ai Marchesi: e se
fosse stato eretto qualche edifizio in un <<fiume pubblico e navigabile,
o che potesse essere ridotto a navigazione, in modo che <<resti
impedito il corso dello stesso, i Marchesi possano tutto distruggere:
e così se sulle <<rive dei fiumi alcun opifizio sia stato
innalzato, in modo che venga offeso l’uso delle rive <<stesse,
possa distruggersi dai Marchesi medesimi - per tutte le invasioni praticate
<<tanto sulle acque che nelle strade, i Marchesi ordineranno che
ciascun invasore rilasci <<quanto avrà occupato, e per
ogni ingiusta occupazione paghi sei soldi di pena - e se <<alcuno
occupò o fece invasione nel Comune o al monte o al piano, rimetta
ai Marchesi <<o alla Comunità quanto avesse occupato e
ne paghi la pena. - Fatto nell’anno del <<Signore 1182 nel
giorno di mercoledì, che fu il quinto prima del termine di Gennajo
<<(indizione XVII) in Este nel palazzo dei Giudizj, dinnanzi alla
chiesa di S. Tecla, alla <<presenza del Consiglio comunale di
Este e di tutti i soprannominati, del Priore di <<Carceri, di
Giordano da Buso, di Valeriano da Urbana, di Musso, di Coneto da <<Monselice,
di Schifatto, di Turmano da Castelnuovo, e di altri molti.
<< Della quale sentenza i predominati uomini da Este ne fecero
a Noi appellazione. <<Tenuto consiglio dei nostri fedeli, e dei
saggi nostri, collaudiamo la detta sentenza e la <<confermiamo
colla imperiale nostra autorità, a tutti facendo comando che
null’altro <<abbiano a soggiungere contro il nostro giudicato
- Dato a Magonza nel 28 Aprile <<(1182)>>.
Se in questo caso gli Estensi rimasero perdenti (com’era già
facile a prevedersi per quell’alta deferenza che gl’imperatori
aveano verso i loro grandi vassalli) pure i nostri dimostrarono quel
civile coraggio che sarà sempre un freno al dispotismo, e un
baluardo delle comunali libertà.
Nello stesso anno Obizzo ed Alberto accrebbero il proprio patrimonio
con quello dell’allora decesso marchese Bonifazio II. Frattanto
la pace di Costanza (1183) metteva termine a quella tremenda lotta che
perdurava ancora accanita tra gl’italiani avidi di libertà,
e l’impero loro consultatore. Con quell’atto solenne si
resero affatto in libertà le città italiche che aveano
fatto parte della celebre lega lombarda, non avendosi riserbato l’impero
che le appellazioni, le quali pure si evasero in seguito a mezzo dei
nunzii nominati dagli imperatori e residenti in Italia; ed appunto ben
tosto troviamo il nostro marchese Obizzo creato nunzio imperiale per
tutta forse la marca Trivigiana, ma senza dubbio per le repubbliche
di Padova e Verona. Di cui in tal sua qualità abbiamo due sentenze,
pronunziata la prima nel nostro villaggio di Ponso per una controversia
fra i canonici di Padova e Gherardo da Vigodarzere, e la seconda emessa
in Este nel pubblico palazzo tra l’abate di S. Zeno di Verona
e Nicolò degli Avvocati . Decesso anche il Marchese Alberto (1184),
Obizzo rimase solo erede dei beni e della potenza della illustre casa
degli Estensi, se non che ebbe molto a fare con Adelasia ed Oremplasia,
ambedue figlie del marchese Alberto, il quale con testamento (10 Aprile)
segnato in Este avea contro ogni ragione e diritto disposto a loro favore
e in pregiudizio di Obizzo di alcuni beni feudali di famiglia.
Onorevolissimo incarico si prese in quest’occasione la comunità
di Este mettendosi a mediatrice in tal vertenza, e prendendo cura di
quanto apparteneva al marchese Alberto. Venne rimessa la lite al giudizio
di Pistore priore del monastero delle Carceri, di Tisolino da Camposampiero
e di Torello da Ferrara, i quali ad unanimità decisero a favore
del Marchese, e, siccome essi ordinarono, Obizzo prese immediatamente
il possesso di Este, e di quanto gli apparteneva come feudo imperiale,
e per parte dei suoi congiunti duchi guelfi di Baviera.
Ma non s’acquetavano le due femmine. Ché vollero portata
la loro causa all’Imperatore recandosi esse a Verona, ove era
appunto capitato Federico con Guelfo Estense duca di Baviera e Sassonia.
Ivi recatosi anche Obizzo, venne disteso il litigio innanzi al duca
Guelfo e ai giudici imperiali. Si giudicò tosto a favore del
marchese Obizzo, il quale tornò in Este, ove fu ricevuto al suono
delle campane e rimesso con tutte le formalità da Jacopo della
Fontana nel possesso dell’antico feudo di famiglia .
Ma chi può ritrarre le donne da una lite, le quali per soprapiù
erano istigate da Lucio giudice di Ferrara che presentava scritture
sopra scritture al vescovo di Lubecca, a messer Matello da Brescia,
e ad Ottone Cendadario da Milano giudici imperiali? Non so veramente
come trattandosi di un feudo che doveva rimanere ai maschi finché
ve ne fossero, potessero quelle donne disputarne d’avvantaggio.
Il perché Obizzo che si trovava in pieno godimento del suo feudo
chiedeva dilazione, finché venne la causa a trattarsi a Monselice
dove dovea trovarsi la corte imperiale (1184). Ma ivi giunto Federico
troncò ogni speranza a quelle litigiose donne, imperando che
per allora si desistesse affatto da quella lite .
Frattanto profittava Obizzo accortamente di tale propizia occasione
per ottenere dall’imperatore nuovo atto di conferma degli antichi
beni di famiglia a lui derivati da Azzo II suo avolo, e dai Duchi guelfi
di Baviera suoi consanguinei, già formalmente ceduti al ramo
secondogenito degli Estensi.
Di tale documento che porta la data del 19 ottobre 1184 in Verona, tralasciate
le lunghe formule e la lunga serie de’ presenti testimonii , ecco
quanto ne occorre di riportare. <<… l’imperatore Federico
investe il marchese Obizzo da Este delle Marche di Genova e <<di
Milano , e di ogni altra cosa che il marchese Azzo ebbe ed ottenne dall’Impero;
in <<guisa che il predetto Marchese abbia e tenga dall’Imperatore
in feudo retto con ogni <<onore tutto quanto appartiene all’Impero,
e specialmente quanto fu di ragione del duca <<Enrico, lo ritenga
per diritto di feudo. Già il Marchese con tale condizione avea
<<dall’Imperatore ottenuto l’investitura del feudo,
siccome un tempo lo aveva ottenuto dal <<predetto duca Enrico
- Che se il detto duca o suoi eredi ricuperassero i loro beni <<territoriali,
o se lo stesso Imperatore a lui o suoi eredi i loro possedimenti restituisse
, <<ciò non debba in veruna guisa al Marchese recare detrimento.
E così concesso viene <<ad Obizzo il possesso di ogni altro
bene che prima possedeva. Che se poi alcuno <<qualche diritto
vantasse sui descritti beni e possessioni in vigore di qualche eredità
, <<coll’imperiale nostra autorità ordiniamo che
ne sia fatta concessione al marchese <<Obizzo >>.
Questi così univa in sé solo il marchesato di Este, e
vero discendente di Azzo II stava preparando nuove grandezze alla sua
prosapia, che ben presto troveremo rifulgere sulle ripe dell’Eridano.
CAPO X
I MARCHESI D’ESTE
SONO PORTATI AD IMMISCHIARSI NEL GOVERNO DI FERRARA PRIMO LORO PASSO
ALLA SIGNORIA DI QUELLA CITTÀ
Io prendo qui a narrare un avvenimento,
glorioso certamente per la casa estense, ma che riuscì in qualche
guisa fatale al progredimento della città atestina, la quale
rimanendo seconda tra i possedimenti dei Marchesi non poté più
aspirare a quella nuova grandezza, che dovea ripromettersi dalla ereditaria
munificenza di quella prosapia. Se un mero caso non ci avesse tolte
sì grandi speranze, chi potrebbe dire quanto la nostra città,
divenuta già residenza di quella illustre Casa e capo dei loro
estesi dominii, non si sarebbe e ampliata e abbellita, siccome addivenne
poi a Ferrara fatta signoria dei nostri Marchesi? … Qui forse
tra noi avrebbe cantato dell’estense Alfonso il grande Torquato
Tasso, qui forse avrebbe egli veduto la fatale Eleonora, e questa corte
sarebbe stata aperta ai sommi genii italiani, siccome lo fu da poi la
Ferrarese che ci ha rapito tanta fortuna, sebbene Ducato estense si
appellasse! Ma chi può scongiurare gli eventi dei secoli? ...
Eran usciti di vita in Ferrara Guglielmo e Adelardo degli Adelardi,
i cui maggiori erano stati Conti di quella città. Di tal mobilissima
famiglia era rimasta un’unica figlia di Adelardo chiamata Marchesella,
ricca di avito patrimonio, della quale ne fu raccomandata la tutela
a quel Torello, che abbiam trovato nel novero dei vassalli dei Marchesi
estensi (pag.248) e vedemmo pure eletto giudice a comporre le loro controversie
famigliari (pag.269). Torello e Salinguerra suo figlio erano assai potenti
tra i cittadini di Ferrara e stavano fra’ più feroci ghibellini,
e quindi fra’ nemici dei marchesi d’Este che erano l’anima
della parte guelfa in Italia.
Avveniva frattanto che Pietro di Traversara di Ravenna guelfo esso pure
mal soffrendo l’intrudersi che faceva il Salinguerra nel patrimonio
della Marchesella degli Adelardi, comeché un giorno ne poteva
egli esser l’erede, tanto destramente si maneggiò che fu
levata la nobile giovanetta dalle mani de’ Ghibellini e data sotto
la protezione del marchese Obizzo estense. Perciò venne essa
condotta di nascosto in Este presso il Marchese, il quale già
da lungi intravedendo una nuova occasione d’ingrandimento, l’accolse
con tutta amore-volezza . Ben presto Marchesella diveniva fidanzata
ad un principe estense; solo ci rimase oscuro, se ad Azzo V, figlio
di Obizzo e di donna vicentina d’ignota famiglia, o come appare
più probabile ad Azzo VI nipote di Obizzo detto anche Azzolino,
che dovea
contare allora i sedici anni (1186) .
Ecco il primo passo dei marchesi estensi alla signoria di Ferrara, ch’essi
forse a quest’epoca nemmeno intravedevano, non avendola ottenuta
definitivamente che all’anno 1208. Punto è questo assai
importante di storia estense assai poco conosciuto e quasi dimenticato
dai più, mentre da qui innanzi vedremo i marchesi dividere le
loro cure, e dirò pure il loro affetto tra Este e Ferrara, e
ora l’uno ora l’altro possedimento difendere dai nemici
che già potenti sorgevano per contrastare ad Obizzo la sua crescente
prosperità.
Appena che Obizzo ed Azzo designato sposo di Marchesella presero ingerenza
nelle case degli Adelardi, furono tosto creati capitani ambedue dai
Ferraresi avversi a Salinguerra. Ma non guari dopo moriva la Marchesella
anco nubile e senza disporre delle cose proprie, e fu allora che quella
pingue eredità passava nella casa estense, che se ne prevaleva
per accrescer il proprio potere in Ferrara . Difatto troviamo ben presto
(1187) lo stesso Obizzo ricevere in quella città l’investitura
di molti beni già pertinenti a Guglielmo e Adelardo degli Adelardi
dall’abate di San Bartolomeo e nel 1193 trovasi Azzo VI od Azzolino
acquistare altri beni nel palazzo che ormai si chiamava del Signor Obizzo
marchese .
Qui siamo all’epoca, in cui andavano inasprendosi le feroci gare
tra Comune e Comune italiano, tra i Casati più o meno potenti,
che toglievano a quest’Italia di potersi ricomporre pacifica e
forte, sebbene in mezzo a quelle lotte il suo commercio, le sue industrie,
e la letteratura si avvivassero di nuova vita e spandessero sulle altre
nazioni i lumi della moderna civilizzazione. Azzo VI non poté
sottrarsi all’andazzo del tempo, e si gettava in queste lotte,
e prima sua prova nell’armi si fu, allorché condusse i
suoi Ferraresi al conquisto del castello della Fratta (1187) che apparteneva
allora alla repubblica veronese. I veronesi però non la tennero,
e l’anno seguente venuti in grosso corpo riacquistarono il castello,
e per averne condegna vendetta invasero il contado di Rovigo, antico
possedimento dei nostri marchesi, e per più di due anni lo occuparono.
Morto Federico Barbarossa (1190) successe all’Impero Enrico VI,
il quale diretto a Roma pella incoronazione, sostò alquanto a
Bologna. Ivi corse Obizzo per fare lagnanza dei veronesi, e tosto ne
riportò nuovo diploma per essere tosto rimesso in possesso del
contado rodigino, e in pari tempo fu confermato a suo nunzio e vicario
per le appellazioni .
È pregio dell’opera il leggere per disteso questo breve
documento, il quale ci apprende quanta stima godessero i nostri Marchesi
presso gli stessi Imperatori:
<< Enrico per la Dio grazia re dei Romani e sempre Augusto. È
dicevole alla reale <<maestà provvedere con liberalità
ai vantaggi dei proprii fedeli, e ad essi preservare <<intatti
i loro diritti seguendo la via della giustizia. Sia dunque noto a tutti
i fedeli <<dell’Impero che mediante la reale nostra autorità
rimettiamo il marchese Obizzo da Este <<nostro fedele e consanguineo
in possesso di Rovigo e contado sul fiume Adige ed <<entro la
terra, volendo espressamente che il Marchese e tutta la sua casa n’abbia
e <<pacificamente possegga li beni tutti che essa possedeva e
teneva dall’Impero, siccome <<innanzi che Azzolino fosse
preso dai Veronesi. Comandiamo inoltre, e con regio editto <<intimiamo
che in seguito nessuna Città e Comune, né alcun piccolo
e grande osi recar <<inquietudine e molestia al predominato Marchese
o suoi eredi in opposizione a questo <<nostro rescritto. Dato
a Bologna nell’anno di Cristo 1191 a dì 13 di febbraio>>.
Pieno di anni, e qual principe italiano ammirato e temuto, moriva Obizzo
nel 1193 lasciando l’intero retaggio consolidato ed accresciuto
della propria famiglia al suo nipote Azzo VI, che entrava allora nel
vigesimo terzo anno della sua età. Lasciava però di sé
un tenero figlio di nome Bonifazio III avuto da una Sofia d’incerto
casato, e quattro figlie ap-pellate Garsenda, Adeleta, Froa, e Tommasina.
Abbiamo il suo testamento che appare scritto nel 1190 , in cui dispone
di alcuna somma a favore della Chiesa di Cero e di Salarola; indi concede
la tutela del marchesino al suo nipote Azzo VI e, in caso che mestieri
ne fosse, ne raccomanda la vigilanza all’illustre suo vassallo
Alberto da Baone.
Obizzo avea veramente imitato il grande suo avo Alberto Azzo II nel
procurare nuove grandezze alla propria famiglia, e specialmente fu quegli
che profittando delle congiunture aprì la via a’ suoi posteri,
siccome vedremo, alla signoria di Ferrara. Obizzo risiedé più
che ogni altro suo predecessore in Este, ove certamente egli avea divisato
fare la perpetua sede della propria famiglia.
CAPO XI
SI ACCRESCE LO SPLENDORE
DI ESTE COLLE GRANDI IMPRESE DI AZZO VI CHE VIENE ELETTO SIGNORE DI
FERRARA E MARCHESE DI ANCONA.
GLI ESTENSI PRENDONO PARTE ALLE FEROCI LOTTE TRA IL MARCHESE E GLI ECELINI.
Qui entriamo nella più
gloriosa epoca del marchesato di Este, che sembrava invero chiamato
a grandi destini. Dopo la morte di Obizzo, passavano tutti i possedimenti
estensi nel solo di lui nipote Azzo VI, a cui il padre Azzo V era già
premorto. Posto a capo del partito guelfo in Italia, n’era ricercata
l’amicizia ed il soccorso dalle repubbliche e dai grandi feudatarii
italiani. Este stabile residenza di quel casato brillava del riflesso
delle grandi intraprese di Azzo, mentre in pari tempo si reggeva a libero
Comune, in ciò appunto fortunata per non aversi incontrato in
alcuno di quei Signorotti, che già incominciavano ad usurparsi
l’intero dominio sopra i Comuni, usando verso i soggetti per soprassello
vessazioni e crudeltà .
Azzo VI non appena succedeva all’illustre suo avo Obizzo (1193)
che tosto veniva confermato nella orrevolissima carica di Vicario imperiale
per tutta la Marca trivigiana, cioè Verona, Vicenza, Padova,
Treviso, Trento, Feltre e Belluno . Anzi un tal privilegio gli era più
tardi (1207) riconfermato a vita da Filippo II di Svevia imperatore
con diploma dato in Argentina .
Venuto l’imperatore Enrico VI a Piacenza (1195), Azzo fu ad ossequiarlo,
nella qual occasione un nuovo feudo gli era offerto dal Vescovo di Adria,
cioè quell’isola tra le foci del Po che chiamasi Ariano;
siccome più tardi (1212) gli fu infeudata Argenta dall’arcivescovo
di Ravenna .
Morto l’imperatore Enrico VI (1197) più feroci si rendevano
le fazioni che desolavano la misera Italia. Principi, feudatari imperiali
e nobili cresciuti di potenza e ricchezze attaccavano colla furia dell’armi
(mentre s’ignoravano quasi affatto li componimenti) quegli altri
potenti, i quali però alla loro volta di riscossa ne prendevano
le più aspre vendette. Tutta a fazioni andava pure la Germania
pel contrastato impero tra Filippo di Svevia ed Ottone figlio di Enrico
il Leone della Casa guelfo-estense, a cagione dei quali si risvegliarono
viepiù feroci gli antichi partiti de’ Guelfi e de’
Ghibellini da que’ due Principi rap-presentati.
Epoca fatale alle libertà italiane, ché meglio sarebbe
avvenuto se una mano di ferro avesse tutti compressi que’ movimenti
per darne almeno il trionfo ad uno solo, e formare uno stato . La casa
d’Este era allora siccome il nucleo della parte guelfa in Italia,
detta anche per ciò parte marchesina. Al Marchese estense andavano
strettamente uniti i Sambonifacio di Verona. Primi fra’ Ghibellini
erano gli Ecelini da Romano eterni nemici degli Estensi, i Montecchi
di Verona e i Salinguerra di Ferrara. Ecco la misera Italia e le sue
repubbliche fatte scopo a continue lotte tra queste potenti famiglie,
che alla fine non conducevano che alla vittoria di qualche casato a
scàpito e rovina di un altro men fortunato, e sempre a danno
delle libertà cittadine.
Gravi frattanto si palesavano le discordie tra Padovani e Vicentini
emuli già da gran tempo. I primi per tener fronte a questi chiamarono
in loro soccorso Ecelino da Romano detto il Monaco, ed Azzo l’estense
co’ propri militi; ambedue a quel tempo non ancora fatti nemici,
ché anzi eran cognati, laddove Ecelino aveva avuto in isposa
Agnese sorella di Azzo. Furono posti in fuga li Vicentini, tolto loro
il carroccio, e fatti molti prigioni (1198); e questa si fu la celebre
giornata di Carmignano (nel vicentino) soggetto poi di un celebre poema
eroicomico di vate padovano , nel quale il nostro Azzo condottiere in
capo di quell’impresa vi apparisce quale il Goffredo della Gerusalemme
del Tasso, seco conducendo gli uomini d’arme di Este e dei contermini
villaggi e castelli. Grati i Padovani al Marchese lo elessero a loro
Podestà nell’anno susseguente, e ci restò memoria
che Padova venne retta da Azzo nel miglior modo e secondo le leggi,
elogio più che modesto per quei tempi .
Non guari però dopo questo celebre fatto il Comune di Padova
seguendo il costume di altre città italiane cominciava dopo ottenute
quelle vittorie a metter mano nelle cose delle contermini città
e dei loro signori, non risparmiando neppure la casa estense la quale,
come ci è noto, fu sempre indenne di giurisdizione e di tributo
inverso al Comune di Padova. Nell’anno 1204 fu spedito a Montagnana
un cittadino di Padova detto Uguccione allo scopo, siccome appare, d’invader
la giurisdizione del Marchese; ma i Montagnanesi rimanendo fedeli vi
si opposero, ed il console padovano volendo opporsi, investito dal furor
popolare, vi lasciava miseramente la vita. Corsero tosto i Padovani
alla vendetta, e troviamo memoria, benché oscura di un’aspra
pugna che attaccarono cogli atestini condotti dal loro Marchese, nella
quale è fama che i primi asportassero da Este in segno di vittoria
un leone di pietra, che collocarono sopra una colonna di facciata alla
loro chiesa di
S. Andrea, dove tutt’ora si vede.
La pace ben presto ritornava in queste contrade, laddove troviamo Azzo
passare in quest’anno (1204) per opera di Alberto da Baone ad
illustri nozze con Alisia figlia di quel Rinaldo, principe di Antiochia,
cavaliere francese, fatto già prigioniero ed ucciso da Sala-dino
(1181). Alisia vivea ritirata in Ungheria presso quella Regina Agnese
sua sorella . Splendido e solenne fu l’incontro fatto a quella
Principessa a Gemona da nobilissimo corteggio di Baroni e Signori della
Marca trivigiana e dai Vescovi di Padova e di Vicenza. Ivi erano pure
convenuti al ricevimento Manfredi arciprete di Este ed il Patriarca
di Aquileja col Vescovo di Ceneda con molti nobili del Friuli.
Ivi erigevasi solenne atto nuziale (21 Febbraio 1204) nella Chiesa di
Santa Maria, che integro possediamo, ratificato colla propria firma
da’ due sposi e da’ que’ nobili personaggi. Alisia
ed Azzo accompagnati da nobile corteo facevano la loro entrata in Este,
dove certamente non saranno mancate e feste e tripudii per celebrare
un matrimonio, che quasi tutta Italia del suo grido commosse. Alisia
avea seco recate grandi ricchezze, e ben presto usò del proprio
per acquistare le terre di Pressana, Cologna, Baldaria, Zimella e Bagnolo,
i quali beni furono poi a lei ed al marito confermati in feudo da Filippo
Imperatore (1207).
Ma le gioje del connubio non acquietavano quelle fiere menti, che sobbalzavano
al primo grido di guerra. Aspra contesa nasceva in que’ giorni
tra le rivali case degli Ecelini e dei Camposampiero pel castel di Campreto.
Gherardo e Tiso Camposampiero di casa guelfa e quindi nemica di Ecelino
vennero per ajuto al Marchese. Azzo con grande numero di armati si accampava
presso il castello di S. Andrea del Musone; stava all’altra ripa
Ecelino co’ suoi. A risparmiare l’effusione del sangue comparvero
quali pacieri Gherardo vescovo di Padova, ed Alessio giudice che riescirono
nello intento ed ottennero da que’ feroci che rimessa fosse la
loro contesa al giudizio di un giure-perito.
Altro passo faceva intanto il Marchese Azzo alla Signoria di Ferrara
coll’esserne eletto a podestà nel 1205. Indispettito per
ciò Salinguerra, che vedea a se avversi i Ferraresi, collegossi
col suocero Ecelino, del quale la figlia Sofia avea condotta in isposa.
A mezzo d’intrighi trasse al suo partito Bonifacio III Marchese
estense che appena usciva allora dall’età pupillare e dalla
tutela del proprio nipote Azzo VI. Pretendea quegli sua porzione al
retaggio di famiglia in accordo colla madre, che dicemmo (capo IX) essere
stata una Sofia di casa a noi sconosciuta. Ambedue si ritiravano presso
i Ghibellini in Verona, ove bollivano le terribili discordie tra i Sambonifacio
ed i Montecchi, che non tardarono a scoppiare (1206) coll’andare
a fuoco i palagi dei Montecchi, coll’essere questi discacciati
co’ loro aderenti da Verona, mentre acclamavasi Azzo a Podestà,
la qual carica fungeva allora anche in Mantova.
Ecelino allora, Bonifacio l’estense e Salinguerra stretta fra
loro amicizia, riunirono i loro amici di Vicenza recandosi ai danni
del Marchese. Verona venne occupata di nuovo dai Ghibellini, ed Azzo
VI costretto di abbandonare la città, si recava alla terra della
Badia (1207). Così si avvicendavano e vittorie e sconfitte, mentre
il sangue italiano scorreva per le misere gare di qualche cittadino.
Suonò la fama che un anno prima Tiso da Camposampiero di accordo
col Marchese estense abbia attentato alla vita di Ecelino detto il Monaco
padre del tiranno, mentre soggiornavano a Venezia a godere delle feste
che fin d’allora largheggiava ai forestieri quella sirena dei
mari. Quantunque la dura etade e i feroci costumi che allora correvano
possano indurre nella credenza del fatto, pure avendo attenzione che
né di quel Marchese né di alcuno altro di sua famiglia
menziona la storia di simili tradimenti, io penso che debba la colpa
di quell’attentato ricadere sopra il Camposampiero, il quale ben
più gravi motivi d’odio dovea covare contro gli Ecelini;
e questo sarà il più probabile almeno fino a che documenti
più certi non ne appariscano in luce.
Ma il marchese con più generoso ardire stava meditando al come
riparare lo scacco toccato a Verona. Oltre i suoi militi d’Este,
Montagnana e Rovigo indusse a seguirlo i Man-tovani col loro carroccio.
Entrava ben presto senza resistenza nella città accompagnato
dal Sambonifacio suo costante alleato. Tosto però vi accorreva
Ecelino co’ suoi. Videsi allora in Verona, miserando spettacolo!
battersi le due nemiche fazioni di contrada in contrada, le quali ridottesi
alla fine sulla piazza di Bra, dieder mano ad un sanguinoso conflitto,
in cui il Marchese Azzo valorosamente pugnando superava finalmente i
nemici (1207, 29 Settembre). Questi parte si sgominarono a precipitata
fuga, parte si arresero prigionieri, fra’ quali fu nobil preda
anche lo stesso Ecelino, a cui però venne concessa ben presto
la libertà dal Marchese, ed anzi fatto onorevolmente accompagnare
a Bassano.
Ricuperata con tanto valore Verona dai Guelfi, Azzo ne fu riconfermato
a Podestà, e secondato dal Sambonifacio vi esercitò finché
visse una suprema autorità.
Non ristava però Ecelino il quale colle reliquie de’ Montecchi
e loro alleati si era fortificato a Garda ed a Peschiera, dove il Marchese
prendeva ad assediarlo per terra e per acqua. Ecelino coraggioso ed
ardito traversava il lago in vista de’ Guelfi recando vettovaglie
al castello di Garda, quindi ripassando il lago ritorna a Brescia, nel
tempo stesso che il Marchese disperando di prenderlo per fame, ritrocesse
a Verona colla sua gente. Ma non andò guari che accresciute le
sue forze, Azzo ritorna sotto quella fortezza, ne fa presa per assalto,
e vi fa prigioni i Montecchi.Il castello di Este fu destinato ad accoglierli,
ove furono rinchiusi ancora in quest’occasione come del partito
ghibellino Paris da Cereta, Pietro Zagata e Torello Saraina tutti e
tre cronisti di quell’epoca, i cui scritti pervennero fino a noi.
Tal fatto ci è narrato dal ghibellino Rolandino e dall’autore
anonimo della vita del conte Ricciardo da Sambonifacio.
Tante illustri imprese di Azzo fecero risuonare il suo nome per tutta
quanta l’Italia. Lo stesso Pontefice Innocenzo III se ne commosse,
e volle tosto decorare quel prode di nuova dignità conferendogli
in perpetuo per lui e posteri il Marchesato d’Ancona, Ascoli,
Fermo, Camerino, Umana, Osimo, Jesi, Sinigaglia, Fano, Pesaro, Fossombrone,
Cagli e Sassoferrato. Ed ecco il marchese Azzo capo e puntello del partito
guelfo un Italia oltre gli aviti possedimenti estensi aggiungersi il
titolo di un secondo marchesato di Ancona e tenere somma autorità
ed influenza nelle città di Ferrara, Vicenza, Mantova e Verona,
locchè tutto andava crescendo onore e splendore alla nostra terra
sua culla e residenza.
Frattanto la parte ghibellina rialzava la testa in Ferrara, ove però
il Marchese assicuratosi di Verona comparve improvviso (1208) con gente
mantovana, modenese e di altri luoghi, conquise i fautori del Salinguerra,
il quale si rifugiava a Modena. I Ferraresi allora restarono attoniti
a tanta celerità e valore del Marchese,e accalcati nelle vie
della città acclamarono Azzo Signore perpetuo di Ferrara per
lui a vita e pella sua posterità, e vollero che di tale decisione
del popolo ferrarese ne fosse eretto uno Statuto municipale; primo esempio,
dice il Sismondi, di un popolo italiano che abbandona i suoi diritti
per sotto-mettersi al potere di un solo. Daremo un solo brano di questa
legge:
<< Pel buono stato della città di Ferrara, nonché
a lode ed a commodo degli amici, <<perché sia provveduto
al bene dei cittadini e nel presente e nel futuro, vogliamo, <<affinché
sia inviolabilmente osservata, e decretiamo questa legge municipale
per noi e <<nostri posteri in perpetuo - che il magnifico ed inclito
Signore Azzo per la pia ed <<apostolica grazia Marchese Estense
e di Ancona, divenga e sia da tutti tenuto <<Governatore, Rettore,
Generale e perpetuo Signore per provvedere, correggere e <<riformare
le cose della città secondo il suo volere; amministri e tenga
ogni giurisdizione <<e podestà e comando entro e fuori
della città, per ordinare, fare e disfare, stabilire, <<togliere,
riformare, percepire, punire e disporre a sua volontà e secondo
che utile gli <<potesse sembrare. E generalmente siccome s’addice
a perpetuo Signore della città e <<distretto di Ferrara
possa fare ogni cosa e disporne per quanto più o meno gli possa
<<parere e piacere: in guisa che la città e distretto e
loro abitatori obbediscano in avvenire <<allo stesso Marchese
siccome a loro Generale con giurisdizione di dominio. Le quali <<cose
vogliamo che abbiano la loro esecuzione non solo nella persona del prefato
<<Marchese Azzo, ma eziandio vogliamo che il suo erede dopo la
sua morte sia tenuto <<come Governatore, rettore e Generale della
città e distretto, ed abbia dominio, impero e <<potere
e piena giurisdizione in tutte le cose non altrimenti che la esercita
il predetto <<Marchese. Ad ogni anno sia riconfermato questo Statuto
in tutte le sue predette parti; <<ed ogni anno venga trascritto
nel corpo degli statuti per modo che i Rettori e Podestà <<futuri,
ed i cittadini di Ferrara faccian giuramento di osservare ed eseguire
le prefate <<obbligazioni >>.
Dopo una tale sottomissione dei Ferraresi provocata al certo dai continuati
dissidj e dalle fazioni che desolavano quella città, i Marchesi
estensi tennero una specie di dominio benché mal definito su
quella città e suo territorio, che ne’ secoli vegnenti
doveano tenere col titolo di Duchi, dal 1471 per concessione di Paolo
II fino all’anno 1598, in cui dopo lunghi raggiri della politica
ne furono spodestati; rimanendo loro però Modena e Reggio, la
signoria delle quali città avevano ottenuto per popolare elezione
fino dagli anni 1288-89 e in ducato confermate nel 1452 da Federico
III Imperatore.
Restava però Este abituale residenza dei Marchesi estensi, sebbene
da quel fatto cominciasse in essi una tendenza verso il nuovo possedimento,
tanto più che gli Ecelini eterni loro rivali, dopoché
ebbero podestà quasi assoluta in Padova, di continuo miravano
a cacciare i Marchesi dall’avito loro feudo atestino.
Ma di ciò avremo ben presto ad occuparci. Il marchese Azzo dopochè
fu acclamato Signore di Ferrara si riduceva di nuovo a Verona, e l’anno
appresso (1209) altro scontro dové subire cogli Ecelini a Vicenza.
Era ivi podestà Drudo Buzzaccarino milanese del partito di Ecelino.
Per tenersi al sicuro della fazione avversaria avea il Buzzaccarino
presi in ostaggio i figli dei più potenti cittadini di Vicenza
e gli avea mandati a Milano. I nobili vicentini se ne irritarono meditando
aspra vendetta. Il Marchese di Este ed il conte Sambonifacio fecero
intendere ai Conti Guido de’ Maltraversi e Corrado da Vivaro potenti
famiglie che, se movessero la città a tumulto, essi accorrerebbero
al loro soccorso.
Non ce ne volle di più; sollevatisi i nobili posero in ceppi
il podestà: correndo per le strade abbruciando ed atterrando
le case degli amici degli Ecelini. Si uscì quindi alla campagna
ove Giacomo De Guidotti colle milizie bassanesi ed il Conte Alberto
coi suoi di Breganze li aspettavano. I da Vivaro furono rotti e condotti
prigionieri nel castello di Breganze. Volò allora il Sambonifacio
a Vicenza, ove riuscito a farsi eleggere a podestà commise delle
crudeltà contro i ghibellini. Vi accorse anche Azzo co’
Veronesi e Vicentini, minacciando di voler distruggere Breganze e Bassano.
Ecelino quantunque male si tenesse in salute, corre da Brescia anch’egli
sul luogo dei combattimenti traendo soccorsi da Treviso. Tutta la Marca
era in armi, mentre frattanto Salinguerra profittando della assenza
del Marchese entrava colle sue genti in Ferrara. Ecco un triste ma vero
quadro che riassume ad evidenza il secolo decimoterzo. L’ambizione,
il puntiglio, il delirio delle pugne teneano il luogo del diritto e
della ragione. Un messo frettoloso spedito dal re de’ romani,
poi Imperatore Ottone IV che si trovava ad Ossaniga nel veronese, fe’
desistere i combattenti, i cui capitani abbandonato il campo si recarono
ad ossequiarlo ove pur se ne venne con grande fasto il Salinguerra.
È assai curiosa e drammatica la narrazione che ne dà il
cronista Maurisio che si trovava al seguito di Ecelino sull’atteggiamento
che presero quei fieri rivali innanzi all’Imperatore e niente
di più vivo può esservi del racconto che dietro di quello
ne dà il grande storico dell’epoca il Sismondi: <<
Ad Ossaniga convennero li due nemici Ecelino <<ed Azzo VI. Quando
il primo si trovò in faccia al Marchese in presenza di tutta
la corte, <<alzossi per accusare il suo rivale di tradimento e
di fellonia, dicendo: Noi fummo <<compagni nella nostra fanciullezza,
e lo credetti amico; ci trovammo assieme a Venezia, <<ed io passeggiavo
con lui nella piazza di S. Marco, quando alcuni assassini mi <<s’avventarono
contro per pugnalarmi e nel medesimo istante il Marchese mi prese il
<<braccio per impedire di difendermi, e se con uno sforzo violento
non mi fossi da lui <<divincolato sarei stato infalli-bilmente
ucciso, come lo fu un mio soldato che stavami ai <<fianchi. Perciò
io lo denuncio a quest’assemblea quale traditore, e chiedo a vostra
<<maestà di permettermi in singolare battaglia di provare
i tradimenti da lui orditi contro di <<me, di Salinguerra e del
Podestà di Vicenza. Poco dopo arrivò Salinguerra seguito
da <<cento uomini d’arme, il quale gittandosi ai piedi dell’Imperatore
rinnovò contro il <<Marchese l’accusa di Ecelino,
e domandò egualmente la prova della battaglia singolare. <<Azzo
rispose che avea ne’ suoi dominii molti gentiluomini più
nobili del Salinguerra che <<sarebbero pronti a battersi con lui
se avea tanta sete di sangue. - Allora Ottone <<dichiarò
a tutti e tre che per passate contese non per-metteva loro di battersi.
Ottone <<che ad ogni modo voleva metter pace tra questi due capi
di parte, dai quali sperava di <<avere più importanti servigii
che da tutti gli altri Signori italiani, uscì il giorno dopo
a <<cavallo con essi, e avendone uno alla diritta, alla sinistra
l’altro, volse da prima il <<discorso in lingua francese
ad Ecelino: Sire Ecelino, salutiamo il Marchese; onde <<Ecelino
levandosi il cappello e piegando il corpo disse ad Azzo: Signor Marchese,
che <<Dio vi salvi; e perché questo rispose senza scoprirsi,
Ottone rivoltosi a lui, egualmente <<disse: Sire Marchese, salutiamo
Ecelino; ed il Marchese soggiunse: Iddio vi salvi. La <<loro riconciliazione
non pareva troppo avanzata, quando facendosi stretta la strada, <<Ottone
passò avanti, lasciando i due rivali a’ fianchi l’uno
dell’altro; quindi a poco voltosi <<addietro, vide che si
parlavano affettuosamente come avessero dimenticate le vecchie <<offese.
Quest’amichevole conversare durò quanto la corsa che fu
di oltre due miglia, a <<tale che ne concepì qualche inquietudine
l’imperatore, il quale poiché rientrò nella sua
<<tenda fatto a sé chiamare Ecelino, gli chiese quale fosse
stato il soggetto della sua <<conversazione col Marchese: i giorni
della nostra fanciullezza, rispose Ecelino, e noi <<siamo già
ritornati all’antica nostra amicizia >>.
Giunti che furono ad Imola que’ signori, Ottone volle che si promettessero
scambievole amicizia, e licenziando il Marchese che si recava nella
Marca d’Ancona, volle che Ecelino gli tenesse dietro fino a Roma
per assistere alla sua consacrazione ad Imperatore. In questa solenne
occasione fu concessa libertà ai prigionieri Montecchi che si
trovavano ancora in Este.
Ritornando Ottone già imperatore da Roma, il Marchese gli presentò
a Fuligno (1210. 5 Gennajo) ed ivi impetrò ed ottenne la conferma
di Cologna e ville acquistate dalla Contessa Alisia sua moglie, delle
quali avea ottenuto diploma dal Re Filippo (pag.206). Accompagnando
quindi l’Imperatore a Chiusi nella Toscana, ivi ottenne che fosse
(20 Gennajo) confermato il suo titolo di Marchese d’Ancona, usando
in ciò con fina politica, mentre oltre la chiesa anche l’impero
vantava dei diritti su quella Marca. Ecelino e Salinguerra furon testimonii
a quell’atto solenne nel quale merita attenzione per noi il chiamarsi
Azzo cognato dell’Imperatore, indicando la comune origine della
loro prosapia da Alberto Azzo II, il quale era stato terz’avolo
di Azzo VI e quart’avolo di Ottone (Capo IV).
Una tale quasi diffidenza del Marchese raffredò alquanto la benevolenza
d’Innocenzo III, ma al cader che fece Ottone nella scomunica perché
voleva far la guerra a Federico re di Sicilia tutelato dal Pontefice,
il Marchese tornò guelfo, siccome portavano le tradizioni di
sua famiglia (1211). Si fu allora che Azzo si rimise in Ferrara cacciandone
il Salinguerra co’ suoi ghibellini, e per rattenere in freno quelli
che entro la città rimanevano, edificò il castello, simbolo
pur troppo di schiavitù ne’ secoli futuri.
Frattanto ritornava in Lombardia Ottone trovando quasi tutta la Marca
trivigiana da sé alienata. Prese allora egli a proteggere Bonifacio
estense zio di Azzo che da Verona (pag. 297) si era ritirato da poco
colla madre a Vicenza sotto la mano protettrice di Ecelino. Ottone dichiarò
Bonifacio liberato da ogni ingerenza e gestione di Azzo, assegnandogli
la metà de’ beni che furono lasciati da suo padre marchese
Obizzo, e di quelli pure acquistati dallo stesso Azzo.
Due diplomi gli rilasciava a tal fine Ottone nei quali traspare tutta
l’ira di che era invaso, fino a chiamare Azzo pessimo amministratore
e furfante. Ma frattanto il Marchese vi rispondeva con nuova e grande
impresa, dalla quale la sorte di Ottone e dell’Italia dovea dipendere.
Innocenzo bramava ardentemente che il giovane Federico potesse recarsi
in Germania per la sua elezione a re de’ Romani. Ma come arrischiarsi
se la armata di Ottone serrava i passi delle Alpi? A null’altro
che il Marchese trovò di affidare la perigliosa impresa, il quale
eludendo il nemico traversa gioghi asprissimi ed inusitati traendo seco
in sicuro per Coira e Costanza fino a Basilea il giovine Federico che
fu tosto a re de’ Romani riconosciuto. (Agosto 1212). Di questa
celebre impresa facea lo stesso Federico già imperatore grata
ricordanza in una lettera da lui diretta ad Ecelino il tiranno del 21
Dicembre 1238 << Non possiamo a meno di ammirare e ricordare Azzo
Marchese estense <<nostro fedelissimo, che sommi vantaggi ci arrecò
in pace ed in guerra, né mai mancò <<alla nostra
imperiale maestà. Se quindi ne’ nostri primi anni abbiamo
vinto i ribelli della <<Puglia, se in appresso in Germania abbiamo
dovuto soffrire molte calamità, se nella <<Lombardia abbiamo
sedato liti e scismi tra città e città, nessuno fu tra’
nostri Principi e <<Baroni, che più ci arrecasse di ajuto
e conforto, quanto il Marchese che abbiamo avuto <<quasi a reggitore
della nostra prima etade e precipuo nostro difensore>> (Rolandino).
Ritornato tosto in Lombardia il Marchese, ove era tutto in iscompiglio,
diede presto mano a premunirsi contro i fautori di Ottone. Strinse vieppiù
l’antica amicizia col Sambonifacio, e colle città di Ferrara,
Verona, Brescia, Cremona e Pavia, contro i Milanesi e i Piacentini collegatisi
col partito imperiale. Risorse allora più viva che mai l’antica
lotta cogli Ecelini, e l’atroce odio scoppiava ben presto, allorché
i fuoriusciti Vicentini invocarono il soccorso di Azzo per rientrare
nella loro patria. Il Marchese radunata una forte gente de’ suoi
e de’ Veronesi, accresciuta anche, al dir del Maurisio, dai Mantovani,
Cremonesi, Reggiani, Bresciani e Pavesi, espugnò a prima giunta
Lonigo; poi il forte della mischia ebbe luogo a Pontalto presso Vicenza,
dove arrivato Ecelino con gran quantità di fanti e cavalieri
trivigiani poté rompere le genti del Marchese facendo molte prigioni;
dal qual fatto crebbe allora in dismisura la potenza degli Ecelini,
i quali già volevano ad ogni costo soperchiare i Marchesi; ciò
che ridondò poi di grande detrimento alla nostra città,
siccome dovremo ben presto farci narrare (1212). Azzo corrucciato si
ritirava a Verona, dove certamente stava preparando i mezzi per tornare
alla riscossa; ma tra questo morte il colpiva (18 Novembre) nella fresca
etade di 42 anni, mentre gli storici dell’epoca stanno concordi
nel far cagione al trapasso del Marchese l’aspro dolore che nell’animo
gli mise quella sconfitta. Otto giorni innanzi era trapassato anche
il Sambonifacio. Azzo VI veniva sepolto nelle tombe di famiglia nell’Abazia
della Vangadizza in un’arca di marmo. Lasciava quattro figli Aldobrandino
I, Beatrice poi la Beata di Gemmola diciottenne, Azzo VII detto anche
Azzin Novello di solo otto anni, e Costanza ancor più tenerella.
Nel giorno stesso del suo trapasso avea disposto di Cologna colle sue
ville e metà della corte di Solesino per Alisia sua moglie durante
la sua vita, di 5.000 lire per Beatrice, di 200 oncie d’oro a
Costanza e tutto il resto lasciava ai due figli.
Fu Azzo grande principe italiano, e valoroso di mente e di mano fu sempre
tenuto dai suoi contemporanei ed ai posteri. Se ad Alberto Azzo II dové
la casa estense gli estesi beni, ad Azzo VI deve però una gloria
e splendore del secolo, ed Este deve il nome suo recato per tutt’Italia
e oltr’alpi, qual culla e residenza di sì valoroso personaggio.
Lungo ci sarebbe riportare quanto in sua lode lasciarono scritto i coevi
cronisti Alberto Priore di Santo Spirito il Rolandino il Monaco padovano.
Solamente si traduca qui l’epigrafe alquanto rilassata di stile,
come portava a quel tempo, conservataci dallo Scardeone, la quale si
trovava scolpita in tavola di marmo presso alla sua tomba. Essa al vivo
dipinge quell’uomo, che a noi estensi ha fatto tanto onore.
<< Morì Azzo Marchese nell’anno di Cristo 1212 nel
mese di novembre, fiore e decoro <<dell’Impero, fiore della
patria, gloria del mondo, bello, sapiente, facondo, animoso in <<pace
ed in guerra, in ambo previdente ed umano; a tutti è noto qual
egli si diportasse <<con Federico e con Ottone; fora inutil qui
l’accennarlo. Mantova lo piange e Verona e <<Ferrara, di
cui fu e patrono e podestà. Che più? non si può
dire o scrivere di quanta <<graziosità fosse fornito. L’invida
morte lo rapì, per cui si vestì a rosso la stessa luna.
<<Qui giace quest’uomo, qui si trova sepolto. Chi vi passerà
dica almeno: Dio lo benedica. <<Se conoscete Azzo in questi versi,
siavi noto che quest’arca racchiude quantunque sia <<ora
fredda spoglia, fu un Itaco d’ingegno, un Tullio di eloquenza,
un Péleo nell’armi.>>
CAPO XII
IL MARCHESE ALDOBRANDINO
VA IN ROTTA CO’ PADOVANI SOCCORSI DAGLI ECELINI GRANDE ASSEDIO
D’ESTE; SUA CADUTA.
FINE DEL SECONDO PERIODO
Aldobrandino I venne solo al
possesso degli stati e governi goduti prima da Azzo VI suo padre. Di
Bonifacio III che con sua madre stava sotto la protezione de’
Ghibellini, null’altro sappiamo. Troviamo tosto nell’anno
istesso (1212) Aldobrandino a podestà di Ferrara, ove egli teneva
anche suoi giudici ed un vicepodestà, e nel 1213 in riflesso
certamente delle paterne glorie, lo si trova già Podestà
di Verona e di Mantova.
Ma il giovane Marchese si vide ben presto attaccato dagli antichi nemici
di sua famiglia, i quali forse s’erano accorti mancare nel figlio
la grand’anima e valore del Padre. E i primi ad assalirlo furono
i Conti di Celano ghibellini e fautori di Ottone imperatore, i quali
s’erano già impossessati di Ancona. Tosto il Pontefice
indirizzava al Marchese un Breve (11 gennaio 1213) eccitandolo a recuperare
quella Marca promettendogliene nuova investitura.
Aldobrandino non avea né il coraggio né la fortuna del
padre e più avea gli Ecelini a fronte, pronti alle offese; perciò
ristette da quell’impresa.
Altre cure ben più gravi il richiamavano a Ferrara dove la fazione
ghibellina suscitata dal Salinguerra rialzava il capo. Recatosi colà
riconobbe Aldobrandino di non potere ormai tener fronte ai suoi nemici,
per cui si piegava ad un accordo che fu steso qual municipale trattato
a dì 30 Maggio. Si riconferma in esso il Salinguerra quale vassallo
del Marchese Aldobrandino e Azzin Novello, per que’ beni che tenea
in feudo dalla casa estense (pag. 248); ambedue terrebbero con egual
misura la signoria di Ferrara, e fra loro d’accordo ne eleggerebbero
il podestà. Ecco un tratto della confusione di governo politico
in quell’età. Vedremo però che il popolo ferrarese
ricuperando tutto il suo libero volere ridonò alla casa estense
l’intera amministrazione della loro città, come l’avea
con pubblic’atto concessa ad Azzo VI e successori in perpetuo
(Capo X).
Aldobrandino fu di nuovo invitato dal Papa alla impresa di Ancona; ma
frattanto una crudel guerra andava maturandosi contro il Marchese, il
quale fu costretto di starsi sulla difesa de’ proprii beni e dello
stesso feudo in Este e territorio.
I Padovani erano già da qualche tempo occupati a dilatare i confini
della loro repubblica, ed avevano già colla preponderanza dell’armi
sottomessi quasi tutti i Conti rurali o signorotti che sparsi pel territorio
viveano senza alcuna politica dipendenza. Vedeano pure di mal occhio
l’ingrandimento della casa estense posseditrice delle contermini
terre. Già 50 anni addietro le avevano sottratto la parte di
Monselice (pag. 167) ed ora agognavano apertamente al territorio estense.
L’essere queste contrade porzione della diocesi pado-vana nei
riguardi religiosi, e le memorie che forse esistevano, avere i Conti
di Padova avuta qualche precaria giurisdizione sul territorio estense,
potevano dare un’apparenza di diritto alla invasione che si stava
già macchinando.
Abbiamo non ha guari veduto (Capo X) spedirsi a Montagnana (1203) quell’Uguccione
commissario del Comune di Padova per trarre a ribellione gli uomini
di quella terra, e qual mala ventura ei n’ebbe. Ed appunto a giustificazione
di quel fatto il Rolandino ebbe a scrivere che Este e Montagnana e tutta
la Scodosia a buon diritto stavano sotto alla giurisdizione del comune
di Padova. Noi già abbiamo a sufficienza provato nel corso di
questa storia che Este fin da’ più rimoti tempi avea una
propria esistenza colla gente euganea che la fondava o conquistava;
che tale mantenevasi come ascritta alla tribù romulia anche nella
lunghissima epoca romana, e ciò tutto femmo toccare con mano
colla scorta de’ monumenti tuttora esistenti e la testimonianza
de’ più celebri scrittori dell’antichità.
Che se nel V e VI secolo dell’era nostra pelle continuate distruzioni
e vicende di quelle età miserande scadde dal suo antico splendore
a segno che la grande rivoluzione di governo e di cose la portò
a rimanere soggetta per qualche tempo a Monselice, e pella precaria
unione della giurisdizione ecclesiastica e secolare anche talvolta ai
Vescovi di Padova, nullameno non vi è pur dubbio che i diplomi
imperiali costituirono d’Este e del suo territorio un Marchesato
della Casa (pag. 243) che da Este prese il suo nome lasciandone ogni
altro; la quale famiglia da ben due secoli in unione alla comunità
estense, la quale non cessò mai di reggersi col proprio statuto
era stata pacifica feudataria nei possedimen-ti estensi. Cagione più
efficace di questa guerra diremo piuttosto essere stata la crescente
potenza del Comune di Padova sussidiato dalla mano guerriera e valorosa
degli Ecelini, donde pretendeva, siccome accade quasi sempre, di soperchiare
i men potenti vicini. Lungi da me però ogni municipale orgoglio.
Ufficio dello storico io tengo di narrare gli avvenimenti e le cagioni
di essi.
Abbiamo però in Rolandino indicata una più vicina cagione
della lotta imminente tra Padovani ed Estensi; avere cioè alcuni
uomini estensi intraprese violentemente non so quali biade avviate da
Montagnana a Padova, e depostele al castello di Este; al Podestà
di Padova che le richiedeva, essere state rifiutate.
I Marchesi estensi, come vedemmo, non ebbero mai le voglie di fare violente
aggressioni, e tanto meno dovea averne Aldobrandino fuggente le più
volte le più ardite imprese: forz’è quindi supporre
che il Marchese avesse il diritto di far trattenere quelle biade per
aver in antecedenza proibito l’estrazione di grano dai suoi beni.
Checché ne sia stato, la repubblica padovana predominata dalla
fazione ghibellina si gettava contro il partito guelfo, a capo del quale
stava in Italia il Marchese, come gli Ecelini dall’altra.
Fu dal Comune di Padova allestita una buona mano di armati e preposto
alla sua testa Ecelino, il quale reggeva allora Vicenza; e ai Padovani
riuniva i suoi Vicentini e Veronesi, lieto di poter quando che sia imporre
il giogo anche alla nuova alleata.
Il Marchese co’ suoi Estensi si pose tosto alla difesa del castello
d’Este, sotto il quale andavano avvicinandosi i nemici. Il giovane
Ecelino figlio del Monaco, che fu poi l’immanissimo tiranno, stava
tra quelle file, e si ricorda dagli storici ch’egli balestrava
le nostre mura con nuove macchine da lui inventate. Era egli allora
diciannovenne. Contro a tanta oste improvvisa Aldobrandino non poteva
accorre che assai pochi al paragone. Furono ben presto presi i borghi
esterni del castello, dopo fatto sacco e devastamento nella con- terminante
campagna, la quale fu messa barbaramente a ferro e fuoco specialmente
dai soldati di Ecelino già bene da lui educati alle stragi ed
alle rovine. Il Marchese però co’ migliori suoi militi
fortemente resisteva entro il Castello, il quale era tutto all’intorno
attaccato fieramente dagli assedianti. Mangani, trabocchi e petriere
lanciavano grossi massi contro le mura della rocca, dalla quale altre
di esiziali ne partivano. La storia ci conservò il nome di un
Conte Manfredino molto amato dai Padovani colpito a morte da un sasso
scagliato da una librella estense e così di un ufficiale, Veglo
nominato da Rolandino, il quale entrava la notte di nascosto nella rocca
ove palesava i piani dei Padovani; scoperto il tradimento, fu per ordine
del Podestà di Padova Marino Zeno appeso alla forca dinanzi alle
porte del castello in vista degli assediati. Questo memorabile assedio
ci fu narrato da cronisti padovani Rolandino, Maurisio ed altri, mentre
manchiamo noi di ogni cronista estense contemporaneo; per lo che molti
fatti e molti nomi ci rimaser perduti nell’obblìo, de’
quali, forse si sarebbe gloriata l’atestina istoria.
Durante ancora l’assedio, Innocenzo IV cui stava a cuore il potere
dei guelfi Marchesi estensi, spedì un breve da Segna (2 Ottobre
1213) al Patriarca di Grado, con cui gli ordina, intimasse tosto ai
Padovani di desistere dall’ingiusta guerra colle seguenti parole:
<< Avevamo fin qui creduto che i cittadini Padovani avessero in
desiderio di portare <<maggior riverenza a noi ed alla sede apostolica
che non dimostrino co’ fatti: perché ci <<venne all’orecchie
che que’ cittadini contro giustizia impugnarono le armi contro
il <<Marchese estense devoto a noi ed alla chiesa romana; suo
padre ed egli pure non <<esitarono giammai di esporsi ai pericoli
ed alle fatiche per la difesa della Chiesa. Se i <<predetti Padovani
tenevano qualche rancore contro il Marchese, potevano riportarsene <<alla
sede apostolica, che fattane cognizione, noi avremmo loro procurato
una <<soddisfazione, priaché facessero lega con Ecelino
e con altri scomunicati senza farne a <<noi cenno ed anzi tenendoci
in dispregio, facendo onta a quell’uomo che sapevano <<esserci
tanto caro ed accetto. Perciò mediante lettera apostolica ordiniamo
a vostra <<fraternità che facciate avvertiti ed obbligate
i Padovani a desistere dalle offese contro il <<prefato Marchese,
e che da nostra parte sarà fatta promessa che saremo per arrecare
<<loro soddisfazione appena che ci mostrino di aver giusta causa
contro il Marchese, il <<quale in questa calamità non ha
a chi ricorrere se non a Dio per ottenere giustizia, voi, <<fatta
cognizione della verità, escluso ogni appello, fate di allontanare
i Padovani da ogni <<ingiusto attacco col mezzo anche delle pene
ecclesiastiche>>.
Questo documento ci è osservabile anche per la storia generale
di quest’epoca, laddove per esso è dimostrata quell’influenza
che i Papi cercavano di avere nelle cose politiche, esercitando il più
sovente il mobilissimo ufficio di pacieri tra le feroci fazioni che
ad oltranza si combattevano.
La severa riprensione pontificia troppo tardi giungeva per far levare
alla nostra città quell’assedio che già era terminato
colla caduta di essa. Ad Aldobrandino niun soccorso giungeva né
da Ferrara né da Mantova, né da Verona sue alleate, dalle
quali aveva ben ragione di attenderlo dopo quanto per esse aveva adoperato
suo padre. Ma la gratitudine non è la prima virtù delle
repubbliche. Alcuna cronaca ci narra che il castello estense sia stato
espugnato e preso colla forza dell’armi; ma secondo il Rolandino
il più creduto dei cronisti padovani si venne dal nostro Marchese
ad una resa formale della piazza e ad un accordo che fu dalle ambi le
parti accettato.
La qual convenzione assai favorevole tornava, com’è agevole
immaginarsi, ai padovani ed agli Ecelini, loro condottieri; cedesse
il marchese la rocca al Comune di Padova le cui
porte vennero tosto murate fosse egli fatto cittadino di Padova, giurasse
come tale di obbedire agli ordini del Podestà del comune di Padova.
Da questa obbedienza era salvo il Marchese pel suo contado di Rovigo
e di altri luoghi. È ancora a sapersi sul tenore di questa pace
che secondo l’uso di que’ tempi l’essere ascritto
alla cittadinanza di una Comune recava seco l’obbligo di abitare
in città due o tre mesi dell’anno; dare il passo per le
proprie terre ai soldati del Comune e riceverne all’uopo sussidio;
recare infine soccorso a quello co’ propri guerrieri in caso di
guerra. Era insomma un misto di soggezione e di lega, ed anche di privilegio.
Colpo fu questo fatale alla potenza dei Marchesi estensi in questo territorio,
ma molto più esiziale per Este, a cui fu troncato il suo bell’avvenire
se quella Casa continuava a dimorare fra noi come indipendente. La quale
benché ritornasse più tardi ne’ proprii diritti,
pure veggendosi sempre vicina a’ suoi potenti nemici, essendo
gli Ecelini divenuti poco appresso arbitri de’ padovani, rivolse
il suo sguardo e la sua affezione a Ferrara, a mezzo del quale possedimento
si accostava al Papa e a’ suoi aderenti guelfi.
Il Marchese d’Este dovè acquistare o farsi erigere dopo
quella pace delle condegne abitazioni in Padova, e diffatto lo Scardeone
storico antico padovano ci lasciò scritto che un palazzo degli
estensi si trovava nella piazza detta ora delle legne ed un altro d’appresso
alla già atterrata chiesa di S. Marco nella piazza delle biade.
Aldobrandino però non si rimaneva a Padova, poiché Innocenzo
Papa non si ristava a sollecitarlo a ricuperare il Marchesato d’Ancona
dominato ancora dai conti di Celano; e vi riusciva guadagnando un fatto
d’armi, in cui Gualtieri conte di Celano vi perdè la vita
(Maggio 1215). Il Marchese mentre avea soggiorno in quella città,
capo della Marca, il Pontefice lo avea riconfermato nella investitura,
e Federico II lo avea insignito dell’alta carica di suo Vicario
in Puglia, quando in età ancor giovanile in quell’anno
stesso (10 Ottobre) dovè soccombere, restando fama che il Conte
Tommaso di Celano a mezzo di un famigliare gli avesse abbreviati i giorni
col veleno.
Colla prima caduta di Este ha fine il secondo Periodo di questa storia,
che potremo dire Periodo di grandi destini, che sembravano apparecchiarsi
per questa patria, la quale era divenuta stabile residenza di una fra
le più potenti famiglie italiane; e noi guardando alle vicende
sorvenute dappoi in Italia, avremmo donde ragionevolmente arguire che
Este sarebbe stata, come lo furono Ferrara e Modena, città capitale
di un ducato italiano. Alcuni leggendo questa pagina potrebbero per
avventura tacciarmi di vanità, ma se l’amor della patria
è fra i più nobili sensi che Iddio abbia posto nel cuore
dell’uomo, non potrà il lettore che accagionarmi di quello,
che io ne accetto ben volentieri l’accusa.